PALERMO – Mirko Sciacchitano pagò colpe che non erano sue. Entrò in azione un commando per ammazzarlo. Lo raggiunsero, lo tirarono giù dal muretto che stava cercando di scavalcare nel disperato tentativo di salvarsi e gli sparano dieci colpi di pistola. Era l’ottobre del 2015, in via Falsomiele a Palermo.
Niente ergastolo, ma 30 anni
I suoi assassini sono stati condannati con sentenza definitiva dalla Cassazione. Niente ergastolo, però. A differenza della tesi accusatoria della Direzione distrettuale antimafia, che aveva retto in primo grado, i supremi giudici ritengono non ci sia stata l’aggravante della premeditazione. Il verdetto certifica il ruolo di mandanti ed esecutori. Dovranno scontare 30 anni ciascuno. Definitiva anche la condanna a 17 anni inflitta a Giuseppe Greco considerato il reggente del mandamento di Santa Maria di Gesù, che rispondeva del reato di mafia, ma non dell’omicidio. Gli imputati erano difesi dagli avvocati Angelo Barone, Angelo Formuso, Salvatore Petronio, Debora Speciale, Rosalba di Gregorio, Marco Clementi, Francesca Aricó, Valerio Vianello, Giuseppe D’Acquì.
Salvatore Profeta (nel frattempo è deceduto) e Natale Gambino sono stati i mandanti del delitto. Fu una reazione al precedente tentato omicidio di Luigi Cona. Gli esecutori materiali furono Francesco e Gabriele Pedalino, Domenico Ilardi e Antonino Profeta (figlio di Salvatore). Lorenzo Scarantino, invece, si mise alla ricerca della vittima.
Luigi Cona era stato ferito a colpi di pistola da Francesco Urso. Non se la presero con Urso, figlio di un boss che conta, e uccisero il giovane Sciacchitano che ebbe la colpa di avere accompagno con lo scooter Urso nelle fasi del ferimento di Cona.
LE FOTO DEL POMERIGGIO DI MORTE
L’offesa al vecchio capomafia
Le microspie piazzate davanti alla macelleria di Gambino, in via Campisi, il 24 febbraio 2015, registrarono Gambino mentre raccontava a Profeta di avere raccolto lo sfogo di Cosimo Vernengo (“poco fa ho visto Cosimo”), amareggiato per il comportamento di Urso (“l’ho salutato… Cosimo… è… dice sono mortificato”). Gambino lo rassicurava. La colpa era solo del nipote (“gli ho detto Cosimo… che che ti devo dire io… tuo nipote purtroppo… ha fatto di testa sua”) che aveva criticato pubblicamente lo zio (“io so pure che mi ha sparlato a me là… a Falsomiele”). Profeta sottolineava il grave errore del figlio di Urso (“stavolta ha preso una cantoniera di petto… glielo hai detto), ed era l’ultima volta che gli veniva perdonato (“gli ho detto questa è la volta buona che qua non ci viene più e se ne va a lavorare… si vada a guadagnare il pane altrove”).
Il tentato omicidio e la vendetta
Alle 16:30 del 3 ottobre 2015, poco prima del delitto, due uomini a bordo di uno scooter Sh 300 di colore bianco giunsero al civico 4 di via dell’Allodola con il volto coperto dai caschi integrali. Urso sparò alle gambe di Cona, titolare della rosticceria “al Bocconcino”. Alle 19:40 dello stesso giorno scattò la ritorsione. Tre uomini incappucciati arrivarono a bordo di una Panda di colore rosso in via della Conciliazione, all’angolo con via della Concordia.
Sciacchitano si trovava davanti a un’agenzia di scommesse. Tentò di scappare assieme ad un amico diciassettenne. La fuga durò poche centinaia di metri. Mirko fu raggiunto da una pioggia di fuoco. Alle 18:41 le cimici captarono una conversazione decisiva. “… tu scinni e ci spari… tu rincapu… prima i cuosci… prima viennu i cuosci…”, dissero Profeta e Gambino. “Lo so…”, rispose Francesco Pedalino.
L’audio era molto disturbato. Secondo le difese, era stato frainteso il significato delle frasi registrate all’esterno della macchina di Antonino Tinnirello, finita sotto intercettazione. Alle 19:06, nelle vicinanze della friggitoria fu notato il transito di una Panda di colore rosso. A bordo c’erano Ilardi, Antonino Profeta e Lorenzo Scarantino. Poco dopo negli audio finirono di nuovo le parole di Gambino che dava indicazioni sulla strada da percorrere: “… ce ne scendiamo dalla via Oreto e prendiamo la strada di via Fichidindia… cammina piano nelle corsie Nino… che di là ci spuntano macchine cose… motori”.
Dopo l’omicidio cantavano in auto
Alle 19:42 le microspie installate a bordo della Polo captarono una raffica di rumori sordi. Erano i colpi di pistola sparati per uccidere Sciacchitano. La macchina fu localizzata in via Oreto nei pressi dell’incrocio con via dell’Orsa minore, ad un centinaio di metri dal luogo del delitto. Fuori sparavano, dentro la macchina regnava il silenzio, interrotto da Profeta che iniziò a cantare la canzone “Volare”.
La notizia della morte di Sciacchitano divenne presto di dominio pubblico. Urso temeva per la sua vita e si rifugiò dalla nonna: “… sono quattro crastazzi nonna… non è che una cosa che chi è stato è andato a toccare a lui…non… perché qual è… cioè io questo è quello che dico, capito?… è solo che loro hanno, hanno tanta quella voglia di ammazzare a qualcuno, di farsi sentire…dice, ora l’hanno capito tutti che… che devono sentire tutti a noialtri e non devono sbagliare più. Ma c’è bisogno di ammazzare…”. Qualche giorno dopo deciderà di partire per Civitavecchia.
Ad un altro parente aggiungeva: “… hanno fatto una cosa… si sono messi l’acqua dentro con questo omicidio che hanno fatto, hanno finito di cucinare… fatalità va a combaciare che mi cercano pure a me… ci sarà qualche intercettazione, praticamente dall’intercettazione, dobbiamo ammazzare pure a lui per dire a quel cornutazzo, parlando di me… qua prendono l’ergastolo facile”.
“Un ragazzo bravo e onesto”
Urso era rammaricato. Sciacchitano non doveva morire: “Dovete ammazzare a me, cioè non c’entra niente che dovete ammazzare a quel picciotto… che c’entra che se la prendono con quello… ma quello è stato pure un ragazzo ingenuo… perché a lui non ce lo porta nessuno pure, te lo giuro vero. Lui la situazione… lui neanche doveva venire, non ce lo porta nessuno… dice, andiamo vengo io, vengo io e mi sono fatto convincere diciamo così, perché è un bravo ragazzo, bravo, bravo, onesto e bravo”.
Il 2 novembre i carabinieri del Ros e del Nucleo investigativo registrarono Luigi Cona, ancora claudicante e con una stampella per via del ferimento. Incontrò Profeta, Scarantino e Francesco Pedalino. “U Bocconcino… ti ha portato lo champagne”, diceva Pedalino. Festeggiarono la riuscita dell’agguato.