PALERMO – Maurizio de Lucia a Palermo, Francesco Lo Voi a Roma, Marcello Viola a Milano. Tre siciliani – due di nascita e de Lucia di adozione per la sua lunga esperienza nell’Isola – alla guida delle più importanti procure italiane.
Una triangolazione che potrebbe incidere sulla lotta alla mafia, sulla capacità di guardare oltre il perimetro fin qui scandagliato con successo dagli investigatori. La mafia negli ultimi decenni ha subito batoste che l’hanno resa debole. Presente sì nel territorio, ancora capace di condizionare la vita di grosse fette della popolazione in un contesto di degrado sociale ed economico, ma residuale nelle strategie criminali locali. Dire il contrario sarebbe ingeneroso nei confronti di chi è morto sul campo. Ed invece c’è una narrazione che resta arroccata al passato perché i successi ottenuti scompaginano le certezze di una certa antimafia che ha bisogno per esistere di ribadire lo stato di perenne emergenza.
Esistono, però, dei canali che si sono sviluppati lontano dalla Sicilia. Milano e Roma sono le città che trainano il Paese ed è lì che bisogna guardare per trovare gli interessi della nuova Cosa Nostra.
D’altra parte le spie si sono accese da anni. Per i siciliani Milano è sempre stata una seconda casa, una base operativa del malaffare già dagli anni Settanta. Cinquant’anni fa una macchina fu fermata ad un posto di blocco in via Romilli. A bordo c’erano Tommaso Buscetta, Gerlando Alberti, Gaetano Badalamenti e Tanino Fidanzati. Il gotha della Cosa Nostra di allora. Milano è la città dove Vittorio Mangano, morto in carcere, si trasferì a lavorare come stalliere nella casa di Silvio Berlusconi.
A Milano in tempi più recenti trovò riparo Gianni Nicchi, boss di Pagliarelli, rimasto latitante alcuni anni. Il capoluogo lombardo era il regno di Gaetano Fidanzati, boss dell’Acquasanta, e lo è del figlio Stefano. Ultrasettantenne, ama il silenzio e preferisce starsene defilato. Viene dal passato, dalla mafia che ha resistito alle guerre e dal 2018 è un uomo libero. Libero e con tutto ciò che serve per essere potente e rispettato.
A Roma si era trasferito a vivere il boss di Brancaccio, ed ex medico, Giuseppe Guttadauro prima di finire di nuovo nei guai giudiziari. Un capomafia capace di sedere nei salotti che contano della Capitale, così come Francesco Paolo Maniscalco che avrebbe riciclato i soldi della mafia aprendo pasticcerie a Trastevere, o la famiglia Rinzivillo di Gela.
I tre procuratori di Palermo, Roma e Milano (contro la nomina di Viola è pendente un ricorso al Tar) hanno il vantaggio di avere lavorato in Sicilia e conoscono i volti di chi si muove e fa affari con ‘ndranghetisti e camorristi. Il confronto, scontato, fra i magistrati produrrà solo buoni frutti.
Potrebbe essere la marcia in più per un’antimafia diversa e capace di guardare altrove, senza per forza pescare nel passato di Cosa Nostra. Sarebbe un cambiamento di prospettiva importante. Mai come oggi la sua attuazione è concreta con la presenza di tre siciliani in altrettante procure, le più importanti d’Italia.

