“Alle sette mi hanno mandato il link di LiveSicilia.it, con la notizia dell’ennesimo blitz per droga. Un altro colpo al cuore”. Antonella Di Bartolo è la coraggiosa preside dell’Istituto comprensivo ‘Sperone-Pertini’, nello Sperone dei pusher, anche piccoli d’età, dello spaccio in bicicletta, dei ragazzini che vendono le dosi di sostanza stupefacente davanti alla scuola. Ma pure di tante persone perbene. Stamattina ci sono stati nuovi arresti. Ogni operazione illumina il quartiere, per un attimo di indignazione, di attenzione, di rabbia dei giusti, che a Palermo abbondano. Poi tutto ritorna nell’oscurità.
Preside, che sta succedendo?
“Succede che pochi minuti fa, e mi è dispiaciuto, ho avuto un attimo di confronto garbato ma fermissimo con una professoressa che diceva: abbiamo fallito. Non è vero, non abbiamo fallito. La scuola è fondamentale, ma da sola ha un raggio d’azione limitato. Siamo l’unica presenza dello Stato qui, a parte le forze dell’ordine che svolgono un’opera necessaria di repressione, ma che, certo, non possono lavorare sulle misure sociali che sarebbero compito di altri. E questi altri fanno pochissimo, se non nulla”.
Non deve essere facile.
“No, alcuni colleghi in gamba se ne sono andati perché non reggevano la pressione psicologica. Oggi parliamo degli arresti. E domani? Noi sappiamo che domani vedremo altri ragazzini che spacciano per le strade, davanti alla scuola, con le biciclette. Ne abbiamo visti tanti, alcuni siamo riusciti a salvarli, che diventano maggiorenni, che vanno in prigione ed è un’altra prova di forza per quel mondo criminale, per la mafia. Sa che gli scrivono sui social, quando vengono arrestati? Augurano una ‘presta libertà’. Nessuno dice: guarda che hai sbagliato”.
E’ arrabbiata, preside, o sbaglio?
“Sì, perché vedo troppa ipocrisia. Il contrasto alla criminalità organizzata si porta avanti con le misure sociali ed economiche, con il lavoro. Posso gridarlo che la mafia è brutta, cento, mille volte. Ma poi, se non ho alternative, se ho il papà morto, i fratelli in galera… Vorrei che tanti benpensanti venissero qui a vivere le condizioni delle persone, dei giovani, che stanno qui. Non è semplice farcela. Non è facile venirne fuori. Qui ci sono tantissime persone perbene, la maggioranza, che aspettano un segnale, che vogliono una vita tranquilla. E restano sole. Conosciamo tante storie difficili. Ricordo un alunno che non voleva venire a scuola perché c’era l’incontro per la legalità con la Guardia di Finanza e i cani anti-droga che fiutano…”.
I bambini, i ragazzini, punto cruciale.
“Di mattina sono quasi tutti a scuola, perché si sa che noi abbiamo dei passaggi e le segnalazioni per le assenze scattano subito. Per il resto, viviamo in un supermercato dello spaccio sempre aperto. Anche davanti alla scuola, certo. Basta girare in macchina per rendersene conto. Noi qui abbiamo un ruolo molto delicato, siamo in trincea”.
Lei ha paura per sé?
“Sì e penso che sia normale. Non vado più a scuola in moto. Gli sguardi, spesso dopo le retate, si fanno pesanti. C’è tanta tensione. Ma non me ne vado, questo è il mio lavoro. E ho avuto la possibilità del trasferimento. Sento il peso. Lo sente la mia famiglia. Non ne parliamo, ma i miei figli e mio marito capiscono tutto e hanno paura, come i miei genitori che si preoccupano e soffrono di conseguenza”.
Un appello, preside.
“Non lasciateci soli. Non lasciate sola la scuola. Non lasciate sole le persone perbene che vivono qui. Qui manca tutto. Perfino i marciapiedi non sono calpestabili, pieni come sono di erbacce, così non si passeggia. C’è il tempo per prendere la macchina, accostare e ricevere la dose di droga. Ma la speranza dello Sperone è ancora viva. Non lasciamo morire la speranza”.
(foto dai social)