Palermo, ecco la FOTO choc dallo Zen 'bombardato'

Palermo, ecco la FOTO choc dallo Zen ‘bombardato’

Immagini che raccontano, più delle parole, l'abbandono del quartiere.
IL QUARTIERE ABBANDONATO
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(Roberto Puglisi) Non per paragone, ma per paradosso. Se qualcuno che gravita nel mondo della comunicazione inviasse a giornali e agenzie la foto di una carcassa d’auto allo Zen, scattata qualche giorno fa, senza specificarne la provenienza, l’equivoco sarebbe possibile. Magari qualcun altro la scambierebbe per un’immagine dalla povera Kiev distrutta. Naturalmente – come spiega l’incipit – non osiamo un paragone, nemmeno remoto, tra un profondo disagio e una strage d’innocenti: nessuno potrebbe. Tuttavia, a filo di paradosso, anche lo Zen è un quartiere ‘bombardato’. Non dagli ordigni che mietono vittime, ma dall’incuria che semina rassegnazione.

La foto l’abbiamo scattata giovedì scorso, il 18 maggio, sulla strada che conduce alla scuola ‘Falcone’. Eravamo lì per parlare con un preside gentiluomo, il professore Domenico Di Fatta, che sta cercando, con successo, di ricostruire la fiducia in un istituto scosso dalla nota vicenda della preside Daniela Lo Verde. Sulla via del cancello, ecco quel relitto in bella vista, di cui non sappiamo il destino. Ma la circostanza che ci sia stato anche solo una volta è già la sconfitta di tutti.

Sono arrivati in tanti, qui, a fare professione di speranza e di riscatto, nei giorni della cronaca fresca del ‘caso Lo Verde’. Tanti che allo Zen non abitano e dallo Zen nemmeno passano perché, come ha ricordato amaramente il preside Di Fatta: “Il problema dell’isolamento riguarda in modo totale il quartiere che è geograficamente appartato, oltretutto non c’è un motivo per venirci, perché non c’è niente, a parte i problemi e tanta gente di buona volontà”. Tanti, con le loro migliori intenzioni. Alcuni, calzando un berretto coloniale, ornato dal metaforico fregio di una presunta (e inesistente) superiorità che non manca mai nelle nostre figure più caritatevoli. Tanti che hanno promesso, deplorato e rilanciato un’antica bugia: “Non vi abbandoneremo”.

Ma questa foto che pubblichiamo è la quintessenza di un abbandono, il manifesto programmatico di una latitanza civile, la didascalia di uno scoramento. Come potrà mai crescere un bambino la cui normalità è costellata di macerie? Cosa potrà sperare un ragazzo delle Zen che impara presto la terribile verità: non ci sono ascensori sociali, né scale disponibili. Chi vuole affermarsi deve attrezzarsi per la scalata a mani nude. Nascere in via Libertà è una cosa. Nascere allo Zen è un’altra cosa. Il talento fiorito nella periferia estrema , in ragazze e ragazzi dall’intelligenza vivace, dalla sensibilità acutissima, ha poche occasioni per emergere. Forse, quasi nessuna. Almeno, togliete la munnizza e non venite a raccontarci chiacchiere. (rp)


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