"Lo Zen è un posto isolato, ma io non mi sento un preside solo"

“Lo Zen è un posto isolato, ma io non mi sento un preside solo”

Parla Domenico Di Fatta, preside della 'Falcone', dopo il caso Lo Verde.
L'INTERVISTA
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3 min di lettura

“Lo Zen è isolato, sì. Il problema dell’isolamento riguarda in modo totale il quartiere che è geograficamente appartato, oltretutto non c’è un motivo per venirci, perché non c’è niente, a parte i problemi e tanta gente di buona volontà”.

Domenico Di Fatta, preside dell’istituto comprensivo ‘Falcone’, allo Zen 2, ha gli occhi stanchi. Ma ha anche la voce ferma. E la determinazione di chi vuole portare a termine il suo compito. Finalmente, dopo il sequestro dei giorni scorsi, può sedersi sulla poltroncina che fu della dirigente Daniela Lo Verde, arrestata con le accuse di peculato e corruzione, nel cuore di una vicenda nota e terribile. “Quello che c’è qui non l’ho portato io – dice il nuovo inquilino – a parte il mio computer personale”. Sulla testa del professore Di Fatta campeggia la foto dell’eroe civile di cui la scuola porta il nome. Come una sorta di casuale, ma opportuna, benedizione. L’opera è immane.

Dunque, preside, siamo d’accordo: l’isolamento sovrasta, spesso, le migliori intenzioni.
“Qui non c’è un teatro, né un cinema. Non c’è nessuno, che non sia della zona, spinto a passare. E non è certo colpa dello Zen. Noi stiamo cercando di uscire dall’isolamento, di spezzarlo, già dal 23 maggio, nell’anniversario di Capaci”.

Come si muove l’istituto ‘Falcone’?
“Abbiamo ripreso il contatto con le associazioni e con la circoscrizione che, con la preside precedente, si era interrotto. Qui, il 23, ci saranno gli studenti del ‘Regina Margherita’, il mio liceo, di cui vado fiero perché sta volando. Ma anche questa, adesso, è la mia scuola e la amo. Sono tornato per amore, dopo molti anni”.

E qualcuno ha preso a sassate porte e finestre…
“Un gesto brutto, ma non nuovo. Speriamo che non si ripeta”.

Lei si sente un uomo solo, preside?
“Il dirigente scolastico è per definizione solo, perché deve prendere delle decisioni e le prende, appunto, in solitudine. Io questo l’ho avuto chiaro fin da subito. Ma io, tolta la caratteristica generale, non mi sento solo”.

Perché?
“Ho la solidarietà di tutto il corpo docente che non vede l’ora di fare sapere che, durante tutto questo periodo complicato, ha continuato a lavorare in silenzio, per i bambini, come ha sempre fatto e come farà. I professori sono contenti di avere trovato qualcuno che finalmente li ascolta”.

Prima non erano ascoltati?
“No, non c’era comunicazione. La porta della presidenza che lei ha trovato aperta era perennemente chiusa. Almeno, così mi riferiscono. Venivano, trovavano la porta sbarrata, bussavano e la preside era sempre occupata”.

E lei che direzione ha preso, professore Di Fatta?
“Quello che io sto facendo è lasciare aperta la mia porta. Il mio stile è questo. Stiamo cercando di ripristinare un clima di serenità e normalità, bisogna recuperare una fiducia che si era persa”.

Lo spaccio di una simile e famosissima piazza arriva fino ai cancelli della scuola?
“Ci sono delle presenze”.

Quale obiettivo si è prefissato?
“Da qua alla fine del mio mandato io sarò contento se gli insegnanti e gli alunni saranno sereni. Quando me ne sono andato, tanti anni fa, si diceva con orgoglio: ‘quelli della Falcone’. Sono sicuro che si tornerà a dire così. Il 23 maggio sarà un giorno importante in questo senso”.

Cosa vorrebbe lasciare?
“Terminerò il mio mandato il 31 agosto. Spero di lasciare una speranza seminata, qualcosa che invogli chi verrà dopo a fare del suo meglio”.

Ps. Dopo l’ultima risposta il cronista ha abbracciato il preside che, secondo il suo ruolo e la sua missione, si sforza di dare un messaggio ottimista nella verità. Ma gli ostacoli sono tanti. Domenico Di Fatta non deve essere lasciato solo. (Roberto Puglisi)


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