La partita a due che si profila per Palazzo delle Aquile, tra Roberto Lagalla e Franco Miceli, con le variabili, i risultati ipotetici e i sondaggi che ognuno può farsi a piacere, giungerà al culmine di una campagna elettorale deludente. Palermo, con i suoi drammi, è rimasta fuori dal dibattito. Ci si è scontrati sui condannati per mafia e il rapporto con la politica. Si sono usati toni polemici molto accesi. Le rituali passeggiatine nei luoghi sfregiati di una città sottosopra hanno avuto le sembianze di spot al limite dell’involontaria irrisione. Che lo Zen sia sempre periferia e che i Rotoli siano ricolmi di bare insepolte non è una scoperta. Più che la denuncia, con foto annessa, avremmo preferito che si cominciasse a parlare, concretamente, di soluzioni.
Candidature, pregi e difetti
Gli altri candidati sono – come è risaputo – Rita Barbera, Francesca Donato, Fabrizio Ferrandelli e Ciro Lomonte. Tutti gli oroscopi più o meno accreditati, però, si concentrano sul duello tra il centrodestra e il centrosinistra, con Lagalla e Miceli al centro del ring. Una panoramica generale può suggerire il senso dell’aspettativa non esaudita. Alla fine dell’Orlandismo, ci saremmo aspettati un cambio di paradigma che sancisse, davvero, la novità, anche sul piano generazionale. Non pare che sia accaduto, non c’è nessuna rivoluzione percepita all’orizzonte e i labili contenuti a disposizione, nello svolgersi delle reciproche propagande, non hanno emozionato, né attirato la passione dell’intelletto. Ma quali sono i punti deboli delle due candidature ritenute più forti? Proviamo a scovarli, per comprendere come potrebbe essere il sindaco che verrà.
Lagalla e il civismo in crisi
L’ex rettore Roberto Lagalla gode della fama di amministratore dotato una robusta capacità di affrontare i problemi ed è una persona perbene. Ma, se diamo un’occhiata agli assessori annunciati, non scorgiamo riflessi di quel civismo decantato come stella polare di un percorso. Porsi da civici significa mettere la città al di sopra di tutto, senza badare alle appartenenze, alle pressioni e alla dialettica dei partiti che, spesso, è sotterranea, quanto belligerante. I nomi suggeriti da Lagalla (Francesco Cascio, Carolina Varchi, Totò Lentini, Antonello Antinoro, Pippo Fallica e Antonella Tirrito) rappresentano una appendice naturale dell’aspra contesa del centrodestra, prima che ci fosse la designazione unitaria.
Il dossier Musumeci e i veleni
Ci sono i tre ex candidati, precedentemente ritirati – Cascio, Varchi e Lentini – e due figure – Antinoro e Fallica – che dispiegano la trama di designazioni squisitamente partitiche, o, comunque, legate a una logica di parrocchia partitica. Oltretutto, dal 13 giugno in poi, come ha annunciato Giorgia Meloni, si aprirà ufficialmente il dossier della ricandidatura di Nello Musumeci a Palazzo d’Orleans: una contesa che si anticipa non semplice. Come farà il ‘civico Lagalla’ a esprimere la sua vocazione in mezzo a tante variabili? Riuscirà a imporre la sua linea o sarà l’affannato notaio di una coalizione rissosa?
Miceli e la discontinuità smarrita
Sicuramente più civica e più costruita alla luce di competenze esclusivamente tecniche appare la lista assessoriale di Franco Miceli (Federico Butera, Irene Gionfriddo, Marco Picone, Antony Passalacqua, Evelina Santangelo, scrittrice, Ornella Leone). Poi si può discutere del rapporto tra civismo e politica e su cosa sia meglio; Miceli, però, riguardo, almeno, alla suggestione, segna qualche punto in più. Il presidente dell’Ordine nazionale degli architetti è, anche lui, una persona perbene, con una spiccata sensibilità politica. Ma sembra non avere fornito garanzie sufficienti su un punto centrale: la discontinuità con l’amministrazione dell’ultimo Orlando. Non soltanto perché opportuna, alla luce dei risultati negativi, e richiesta da una grande parte della comunità palermitana (basta ascoltarli, i palermitani, per sapere come la pensano).
Orlandismo, il secondo tempo?
Ma perché lo stesso Miceli l’aveva, di fatto, rivendicata, in una intervista con il nostro giornale: “Io sono stato assessore di Orlando negli anni Novanta fino al Duemila, oggi mi pare che, rispetto a quei tempi, ci sia uno scollamento tra l’amministrazione e la città, nei suoi diversi aspetti. Penso alla cultura, alla produttività, alle periferie. L’amministrazione non ha più saputo interpretare i bisogni dei palermitani, da qui è nato il conflitto”. Cosa è rimasto dei nobili propositi? Gli assessori sono nuovi, ma l’area culturale, politica, del linguaggio, della ‘visione’ più che del pragmatismo, dei giudizi trancianti sugli avversari è la stessa di Orlando, soprattutto nella pretesa identitaria di avere una funzione pedagogica, una missione che esclude dal consesso dei ‘buoni’ chi si trovi in disaccordo. E le sortite sui guasti prodotti nel recente periodo sono state fin troppo timide. Ecco perché un eventuale ‘Micelismo’ suonerebbe a tanti come il secondo tempo dell’Orlandismo che ha dato pessime prove di sé nello scorcio che va a chiudersi.