CATANIA – Si sente un uomo perseguitato dalla giustizia Francesco Di Stefano, boss dei Cursoti Milanesi. Imputato per l’omicidio dello spacciatore Daniele Paratore, ammazzato nel 2009, nel corso del suo esame ha risposto alle domande del pm Pasquale Pacifico con una “sorta” di monologo in continuo replay: “Sono cinque anni che mi sento perseguitato dalla polizia”. Il sostituto procuratore apre l’esame del teste, accusato di aver sparato con freddezza alla vittima, snocciolando punti salienti del curriculum criminale di Di Stefano. “Lei ha una condanna definitiva per associazione mafiosa e per l’estorsione al costruttore Russo?”. Il teste non fa una piega: “E questo che c’entra? Sono stato condannato ma non c’entravo nulla”. Anche questa volta non si lascia sfuggire il “monologo” del vittimismo. Per questo motivo il magistrato più volte invita l’imputato a rispondere alle domande con “un si o un no, caso mai per le sue riflessioni può fare dichiarazioni spontanee alla Corte”. E continuando con sentenze di condanna, in primo grado Di Stefano è stato ritenuto colpevole del tentato omicidio Pardo. “Ma adesso c’è l’appello e sarò assolto” – risponde. E anche in questo caso come per l’estorsione, dell’associazione mafiosa, l’omicidio per cui è sotto processo, il boss ribadisce: “Io non c’entro niente”.
E la latitanza? Anche per questo aspetto Francesco Di Stefano ha la sua giustificazione: “Ma ero latitante per un motivo banale, avevo violato la sorveglianza speciale. Mica ero un latitante pericoloso”. L’imputato insieme al fratello Carmelo si nascondeva in una villetta di campagna sull’Etna, dove si incontrava con i suoi sodali. Un covo per sfuggire alle manette, così come dimostrano le immagini che sono entrate nell’inchiesta Final Blow che ha azzerato il clan dei Milanesi.
Entrando nel cuore dell’apparato probatorio il pm sollecita l’imputato a raccontare i suoi rapporti con la vittima, Daniele Paratore e con il collaboratore Michele Musumeci, già condannato per questo omicidio, e accusatore principale del boss dei Cursoti Milanesi. “A Daniele Paratore l’ho conosciuto solo in carcere, ma di presenza non ho avuto rapporti. Con Michele Musumeci invece c’era solo un rapporto di conoscenza, ma non era approfondito”.
Non ci sarebbero legami stretti dunque con lo spacciatore assassinato e il pentito Michele Musumeci che è stato “filmato” dalla polizia proprio in quella villetta dove si nascondevano i latitanti Di Stefano. L’imputato è l’ultimo teste citato dall’accusa, dalla prossima udienza infatti saranno ascoltati i testimoni della difesa. Sul banco degli interrogatori ci sarà Giovanni Signer, all’epoca dirigente della Squadra Mobile, che dovrà fornire dettagli su un verbale redatto dall’attuale vice capo di Gabinetto della Questura. E ancora sarà esaminato un poliziotto della Scientifica che ha effettuato i rilievi sulla scena del crimine. Oltre i due agenti sono stati chiamati a deporre anche due dipendenti del garage Nauta, ubicato vicino al luogo dell’omicidio.
Ad un certo punto l’interrogatorio dell’imputato entra nel clou. Il pm Pacifico chiede a Di Stefano le ragioni di due incontri a casa di Giovanni Colombrita, boss dei Cappello, che temporalmente si collocano prima e dopo l’omicidio di Daniele Paratore. Due “riunioni” che secondo la ricostruzione della Procura servivano per discutere di un debito che aveva la vittima con i Cappello e che da quel momento di quella somma ne “avrebbero risposto” Di Stefano e i Cursoti Milanesi.”Non neghi questi incontri perchè ci sono le immagini che dimostrano la sua presenza” – premette l’accusa prima che il boss prenda la parola. “Ero andato da Colombrita per discutere di un credito di circa 4 mila euro che doveva riscuotere mio cognato, anzi del mio ex cognato. Il debitore si era rivolto a Colombrita per non pagare e quindi l’ho incontrato per risolvere la questione”. L’ex cognato di Di Stefano altri non è che Alfio Muzzio, indagato nel passato per estorsione. Insomma questi incontri secondo il racconto di Di Stefano sarebbero legati a questioni “familiari”. Il fatto che fossero avvenuti prima e dopo l’omicidio dello spacciatore di corso Indipendenza sarebbe, dunque, una coincidenza.