PALERMO – Elly Schlein è rimasta “particolarmente scioccata dalla violenza fisica del dibattito” scaturita nel corso dell’assemblea del Partito democratico siciliano. A descrivere lo stato d’animo della segretaria del Pd rispetto alle scene dell’hotel Astoria è uno dei suoi fedelissimi in Sicilia, Sergio Lima, componente della Direzione nazionale dem.
Il giudizio del Nazareno è pesante.
“La violenza verbale è una di quelle cose che si mettono nel conto e che si affrontano in situazioni come queste, ciò che non è accettabile sono le scene di assalto fisico al tavolo della presidenza. Una violenza fisica rispetto alla quale la segretaria è rimasta particolarmente scioccata”.
Tutti hanno sbagliato quindi?
“Ci sono state parole eccessive da più lati. A voler guardare il lato positivo è Il segnale di un congresso vero. Adesso però si torni ad una discussione sulle cose reali”.
Lei tende ad andare avanti ma qui c’è un ricorso rispetto alla votazione sul regolamento congressuale. La questione non è finita.
“C’è un organo chiamato a dirimere i ricorsi. L’unica cosa certa finora è che c’è stato un voto certificato. L’assemblea è stata gestita in maniera forse un po’ confusionaria ma non con malafede, c’è stata invece la volontà (vana) di trovare fino all’ultimo un terreno di confronto. Giunti a quel punto, però, non si poteva pensare di tenere ostaggio un partito nell’immobilismo”.
Si spieghi meglio.
“Veniamo dalla stagione di Morgantina, nella quale, proprio per evitare un confronto (che può anche essere duro) si è creato un partito bloccato e immobilizzato. Un Pd che non avrebbe mai potuto fare alcuna scelta di campo. Un Pd nel quale si è scambiata la giusta dose di equilibrio per l’equilibrismo, la pace per immobilismo, un Pd del ‘tutti fermi’ affinché nulla cambi. In questi cinque anni il Pd ha rischiato di morire per il tatticismo esasperato. L’elezione di Schlein ha cambiato questo quadro. Basta con un Pd fermo soltanto perché deve garantire rendite di posizione”.
Una situazione nella quale parlare di vittorie elettorali appare superfluo.
“In questo partito c’è l’idea che la sconfitta sia un fenomeno inevitabile, un qualcosa che arriverà comunque. Da questo ragionamento, ciascuno pensa a salvare la propria posizione. Ma se ci si presenta agli elettori con l’idea che si è già sconfitti, anche gli indecisi che potrebbero cambiare le cose non andranno mai a votare”.
Quando ‘scoppierà’ la pace nel Partito democratico?
“Quando si comincerà a discutere di politica. Fino ad ora abbiamo discusso, legittimamente, delle regole, ma mi piacerebbe parlare di temi come, ad esempio, il sostegno ai referendum sul lavoro promossi dalla Cgil. Io li condivido e sarò in campo per la campagna referendaria, mi sembra che altri siano più freddi. Lo dicano, è legittimo. Ci si confronti. Io vorrei votare il segretario (o la segretaria) regionale anche sulla base di come vorrà spendere il partito su queste questioni”.
Che congresso sarà?
“Un congresso vero, aspro magari. Ma che definisca una linea e una postura. Un partito vive del confronto tra le posizioni politiche che sono tutte legittime. Spero che il confronto abbandoni le regole per spostarsi sui contenuti. Ritengo legittimo che un pezzo importante di questo partito abbia il diritto di avanzare una ipotesi alternativa di linea politica e leadership, così come di presentare tutti i ricorsi che ritiene opportuni. Ciò che, invece, non si può più accettare è, ripeto, l’immobilismo. Il Pd deve essere uno strumento per cambiare la Sicilia e non per l’autoconservazione”.
L’impressione è che le acque siano soltanto momentaneamente calme.
“C’è il diritto di portare avanti tutte le battaglie politiche che si vogliono e con tutti gli strumenti legittimi che si vogliono, ma non c’è il diritto di utilizzare gli strumenti della politica per bloccare un processo democratico. Quello sarebbe un tentativo di dittatura da parte di una minoranza”.
Le scene dell’Astoria si potevano evitare? Magari gestendo meglio la storia dei numeri dell’assemblea.
“Ho sempre sostenuto che l’assemblea regionale votata nel 2020 a Morgantina era composta da 300 uomini e donne che ad oggi, almeno per un quarto, non ne fanno più parte. Si potevano ‘purificare’ prima quei numeri: avremmo avuto un’assemblea ci circa duecento componenti ma con molta più chiarezza. Questa proposta non è stata accettata. E forse sarebbe il caso di interrogarsi sul perché in 5 anni quasi un quinto del gruppo dirigente componente l’assemblea oggi non c’è più. La selezione della classe dirigente sarà uno dei terreni su cui misureremo la discontinuità con il passato”.
Il rischio è quello di una guerra perenne tra fazioni.
“Voglio avere fino all’ultimo ‘l’ottimismo della volontà’, per dirla alla Gramsci. Non penso sia necessario avere un partito in cui tutti la pensano alla stessa maniera. Ci possono essere delle opzioni politiche anche divergenti ma che ci sia una linea e la si porti avanti. Si discuta di questa linea politica e non soltanto di cavilli giuridici che, per carità, sono comunque importanti”.
Uno sguardo a ciò che accade oltre il recinto dem. Il nuovo segretario regionale con chi dialogherà?
“La linea è quella nazionale: una coalizione larga e che si costruita attorno a dei temi. Abbiamo fatto così in Umbria, Liguria, Emilia Romagna e Sardegna. In alcune regioni abbiamo vinto, in altre no, ma la strada è quella. La questione non è ‘con chi’ ma ‘con quali idee’. Uso una metafora: invece di discutere con chi andare a cena, discutiamo del menù”.
Il coordinatore regionale M5s Nuccio Di Paola ha lanciato l’idea di una sorta di ritiro spirituale in una abbazia e chiede di accelerare i tempi per non arrivare impreparati al 2027.
“Concordo con Di Paola ma il leader M5s dovrebbe rivolgere queste riflessioni a se stesso. Nel 2022 si chiedeva ai Cinquestelle di accelerare e da quella parte politica si rispondeva con l’attesa delle decisioni di Roma. Se Di Paola oggi ha cambiato idea e si è reso conto di avere sbagliato bene, soltanto chi non fa non sbaglia. Ma soprattutto più che chiudersi in conclave penso sia necessario uscire dalla fortezza Bastiani in cui tutta l’opposizione tende a richiudersi. Magari scopriremmo che attorno a noi non c’è il deserto dei tartari ma una società che aspetta una proposta concreta e credibile. Non mi rassegno alla sconfitta perenne, ma per vincere occorre più coraggio.