Ha fatto sapere, per bocca del suo avvocato vicentino, Francesca Casarotto, di non volere più alcun contatto con l’ambiente che gli ha causato i ben noti guai con la giustizia. Giuseppe Salvatore Riina vuole stare, insomma, alla larga da Corleone. Preferisce trascorrere a Padova la sua rinnovata libertà vigilata (infatti dovrà sempre rincasare prima delle 22 e sottoporsi all’obbligo di firma).
“Io non penso che il problema sia il luogo di residenza. L’ambiente non fa nessuna differenza, che sia Corleone o Padova”. A parlare è Vincenzo Ceruso, sociologo e militante del mondo volontario cittadino. “La mafia risiede al nord da almeno 40 anni- spiega-. E anzi, se il terzogenito di Totò Riina volesse riprendere il suo destino criminale, al nord avrebbe la possibilità di farlo molto più che a Corleone: i corleonesi hanno basi al nord dagli anni ’70. Le cose che dice la Lega sono tutte stupidaggini, fuori dalla realtà. Il problema della mafia è nazionale”.
Si può delinquere o meno a prescindere dal territorio. Questo è ovvio. Quello che adesso è meno prevedibile è il destino reale del figlio del “boss dei boss”. Dipende da lui? Qual è il peso che avrà la “società” nel suo reinserimento? Perchè se da un lato “Salvuccio” ha detto di non volere ritornare in Sicilia e di volere fermarsi in un luogo dove pensa di avere più possibilità a ricominciare una vita da persona onesta, dall’altro, il suo legale ha sottolineato in tribunale che “il signor Riina non è un pentito. E rimane in ottimi rapporti con i suoi congiunti”.
Il commento di Ceruso è di grande perplessità: “Ho trovato un po’ fuori luogo la dichiarazione del suo legale. Direi che questa sottolinatura se la poteva risparmiare. Se Riina ha detto di volere cambiare vita credo che un pentimento ci vorrebbe”. E richiama alla memoria le parole di Don Puglisi, il suo appello ai mafiosi stessi, perchè potessero trovare in loro quei germi di umanità che avevano smarrito. “Sarebbe la prima volta che un tale “erede” abbandoni il suo destino. Potrebbe diventare un esempio positivo. Non è una maledizione chiamarsi Riina, anzi lui è messo nelle condizioni adesso di potere spezzare questa catena”, dice. Dunque nessun destino tracciato nella vita di quest’uomo. Nessuna “via obbligata, scontata”. “Lui ha tutte le possibilità per rifarsi una nuova vita, non sarà la società ad impedirglielo”, dice Ceruso.
Il sociologo Domenico De Masi ha detto che non esclude che Giuseppe Salvatore Riina sia stato “una brava persona” ma che crede che dopo nove anni tra i delinquenti sia comunque “diventato delinquente” e che “andrebbero regalati nove anni di contesto onesto per controbilanciare i nove anni di contesto disonesto”, ma che nonostante ciò, ha aggiunto, “la società ha il dovere di cercare di reinserirlo”. Secco il commento di Ceruso a riguardo. “Non condivido affatto quest’opinione. Ci sono molti detenuti che hanno dimostrato di potersi reinserire normalmente nella società. E poi- aggiunge- i cattivi esempi si possono trovare in carcere come in parlamento”.