L’assessore regionale ai beni culturali non ci sta e risponde duramente al settimanale l’Espresso che sotto il titolo ‘Alfabeto criminale’ cita, alla lettera A, proprio il suo nome: Gaetano Armao. “Siamo dinanzi a un caso di giornalismo che merita di essere portato in tribunale – ha detto Armao -. Il mio nome sarebbe citato in una intercettazione telefonica tra professionisti e imprese che discutevano tra loro di una iniziativa di project finance (il testo della telefonata è stato pubblicato dal Messaggero). Nel corso della conversazione, pare che uno degli intercettati mi abbia citato come avvocato amministrativista con esperienza in materia aeroportuale. Mi permetto di segnalare – aggiunge – che né la telefonata in sé, né i fatti specifici a me riferiti, né altre circostanze di contesto costituiscono reato: si tratta, a ben vedere, solo di un riferimento, non richiesto, di persone a me estranee, che discutevano della mia professionalità di avvocato. Senza considerare poi che le vicende si riferiscono a un periodo in cui non facevo parte del governo regionale”. “Ne discende – conclude Armao – che siamo dinanzi a un inaccettabile esempio di giornalismo d’assalto: associare il mio nome a quello di persone coinvolte in inchieste su appalti ed affari ed inserirlo in un ‘alfabeto criminale’ è assolutamente scorretto. Che poi, anche solo per assonanza, si accosti l’inchiesta giudiziaria al governo regionale siciliano, costituisce un modo di esercitare il diritto di cronaca che si configura certamente come reato. Un giornalista corretto, Stefano Folli, ha ricordato ieri che le intercettazioni non autorizzano anatemi, giudizi sommari e sentenze mediatiche. Qui siamo molto oltre, siamo al reato premeditato nei confronti di una persona semplicemente citata per i suoi requisiti professionali e, per questo, gettata nella gogna. Ecco perché, per ristabilire la verità e la legalità, sarà necessario ricorrere ai tribunali”.
Partecipa al dibattito: commenta questo articolo