Perché Matteo ha vinto | Perché Renzi può perdere - Live Sicilia

Perché Matteo ha vinto | Perché Renzi può perdere

Il commento

Tutto bene per Matteo Renzi e per il Pd che si appresta a guidare secondo il suo credo laico? I presagi sono rosei. I numeri consegnano al sindaco di Firenze un consenso monumentale e di conseguenza una gigantesca responsabilità, rispetto alle aspettative dei gazebo. Il frutto di un trionfo senza discussioni che premia una figura capace di affermarsi in tempi grami. Un merito. Tuttavia, già a urne chiuse qualcuno azzardava paragoni con Veltroni che si affermò, ma fu bruciato da una convivenza difficile con il governo Prodi e infine inghiottito dalla voracità del suo stesso partito. Da giorni, un furbacchione destrorso come Giuliano Ferrara insiste sul ‘Foglio’ nel paragone tra Matteo e Walter, con una morale esplicita. Se Renzi commetterà lo stesso errore, se non manderà subito all’aria baracca e burattini dell’esecutivo, farà la stessa fine, brucerà nelle stessa cenere della vocazione maggioritaria di veltroniana memoria.

Il sindaco vince, perché ha saputo sostenere la marcia nel deserto, dopo la sconfitta patita da Bersani, soprattutto grazie ai pasticci combinati dai democratici. Dalle politiche alle elezioni per il capo dello Stato, il Pd ha offerto un’immagine disastrosa e risultati agghiaccianti al suo popolo. Un crollo che ha aiutato il rottamatore a mantenere un’aureola di freschezza. Gli elettori di centrosinistra sono rimasti traumatizzati da eventi che hanno subito come scempi. La sostanziale sconfitta di una contesa già data per sicura, con il voto alle politiche, l’umiliazione e la confusione nelle vicende quirinalizie, il ritorno del redivivo Berlusconi – sicché, a prescindere dal merito, il pronunciamento sulla decadenza è stato vissuto come una riscossa – l’avvento dei ‘nuovi barbari’ di Beppe Grillo. Più forte lo tsumani, più urgente è stata la ricerca di un leader capace di infondere certezze, fiducia e un sentimento di robustezza condivisa.

Eppure, le spine per il nuovo segretario del Pd, quelle che Craxi avrebbe definito ‘serpenti sotto le foglie’, sono evidenti. Gli avversari che hanno fatto professione di lealtà daranno battaglie dal basso delle loro percentuali. Ma, soprattutto, sarà Enrico Letta il convitato di pietra del corso che si è assunto la vocazione di ‘cambiare verso’. La decisione della Consulta ha rimesso i vagoni sul binario di un’arcaica roulette elettorale. Con questi chiari di luna, un attacco immediato al governo – l’approdo veloce alle urne per passare da segretario a premier – è impossibile.

Come si comporterà l’assaltatore del cielo democrat sul terreno delle cautele e dei contrappesi? Si metterà d’accordo col diavolo – cioè con Silvio e Beppe – per rovesciare il tavolo? Impensabile. Dovrà dunque contrattare, centimetro per centimetro, con Letta, tenace new-democristiano. E dovrà farlo dalla stanza dei bottoni, con tutti i rischi di chi non può più rottamare nulla, perché altrimenti rottamerebbe se stesso.

E in Sicilia? La situazione è un po’ più in chiaroscuro. Renzi prende il piatto, però non sbaraglia la concorrenza, come racconta Chiara Billitteri. Cracolici lancia l’espediente della gazosa, mentre i renziani (che esistono ancora) chiedono a gran voce pieni poteri e feudi. A Enna, a casa Crisafulli, Cuperlo coglie la più classica delle vittorie di Pirro. Anzi, di Mirello.


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