Perdere la vita a soli 23 anni |"Mio fratello e la strada maledetta" - Live Sicilia

Perdere la vita a soli 23 anni |”Mio fratello e la strada maledetta”

Giuseppe è morto a gennaio, in seguito a un incidente in via della Concordia. Ribattezzata la "strada della morte".

CATANIA – Quella maledetta notte di gennaio non la dimenticherà mai. Come non dimenticherà mai il fratello maggiore, Giuseppe Celano, detto Ranocchio, vittima di un incidente in via della Concordia dalle dinamiche rimaste poco chiare. Morto, appena 23enne, insieme all’amico Keivin. Carmelo Celano, chiede giustizia per il fratello e sicurezza per una strada, via della Concordia, che troppe volte, ha visto cadere come mosche giovani e meno giovani. Numerosi negli anni gli appelli e le richieste di intervento, la più recente quella dell’ex consigliere comunale, Tuccio Tringale,  ma quella strada provoca incidenti. E morte. E dolore.

Quello che accompagna il giovane Carmelo – il Forrest Gump di San Cristoforo, come ha scritto LiveSicilia quando ne ha raccontato la storia di atleta con il Cus – e la famiglia.  “Con mamma e papà cerchiamo di farci forza, ma è difficile – racconta, in un assolato pomeriggio in un caffè di piazza Duomo. Perdere un figlio è una cosa insostenibile. Mia mamma ogni tanto ha dei momenti di sconforto e piange perché non lo accetta. Lei lo ha detto apertamente: va avanti per me, se non ci fossi stato io non so cosa sarebbe successo”.

Sotto accusa la via della Consordia. Strada Ottanta palme, come si chiamava un tempo. “È una strada pericolosa via Ottanta palme – continua – tanto da esser stata soprannominata la strada della morte”. Carmelo volge lo sguardo altrove, per un momento. Poi inizia a raccontare di suo fratello Giuseppe. “Mio fratello aveva 23 anni quando è morto. Tutti lo chiamavamo ranocchio, lo chiamavano così sin da quando era piccolo perché saltellava sempre, non stava mai fermo. Era un ragazzo d’oro, che si faceva in due per tutti, generoso. Non doveva morire così, ancora non si è capito bene cosa sia successo quella sera. Voglio sapere perché mio fratello è morto. La via è dritta, come poteva andare a sbattere se non fosse stato colpito?”. Non si dà pace, Carmelo, per la morte del fratello. “Se dovesse esserci un colpevole spero che porti il peso del dolore che porto io”.

Non nega la vita scelta dal fratello, con piccoli precedenti penali, ma non accetta che un ragazzo così giovane sia morto.  “Lui si faceva coinvolgere da cattive amicizie – continua bevendo un bicchiere d’acqua – ha preso una strada difficile, ha sbagliato ma si è pentito e ha sempre pagato le conseguenza per ciò che ha fatto. Una persona che sbaglia non è necessariamente una persona cattiva. Né Giuseppe né Kevin meritavano di morire”.

Carmelo per adesso non corre più. Non se la sente. Troppo dolore, troppa rabbia. Ma sa che deve tornare a vivere, a studiare e ad allenarsi. Per suo fratello. “Faccio quello che mi diceva lui – prosegue – che diceva di uscire e divertirsi e che la vita e una sola. Di non stare solo ma di fare una vita migliore di quella che aveva scelto lui. Di andare a scuola, di continuare a correre, di rincorrere il mio sogno al Cus, di andare via da San Cristoforo, che qua non c’è nulla”.

La scuola, il primo superiore, dovrebbe ricominciare a settembre. Per correre, invece, c’è ancora tempo. “Riguardo al Cus – dice con il tono basso ma deciso – preferisco un po’ aspettare per esserci moralmente. Fisicamente sto bene, ma non ho lo spirito adatto. I miei amici, il mister, sono persone splendide e comprensive. Capiscono il dolore e il mio mister, Nuccio Leonardi, mi ha detto di prendermi tutto il tempo che voglio e che le porte per me saranno sempre aperte. Ma voglio tornare a correre, per mio fratello”.

 

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