Piera, donna contro la mafia per la libertà - Live Sicilia

Piera, donna contro la mafia per la libertà

Da moglie del boss a testimone di giustizia: “L'8 marzo è tutti i giorni e vi spiego perché ...”

Il patriarcato e la mafia, l’orrore e il dolore. La ribellione e la forza. L’esempio e la testimonianza. Nella storia di Piera Aiello, giovane sposa contro il suo volere di un marito violento, morto ammazzato in quel di Partanna di Trapani, c’è l’intera parabola di una Sicilia che non si rassegna. Donna, detta con eccesso di enfasi, ribelle, ma solo per aver affermato se stessa contro ogni sottomissione. Ex parlamentare della Repubblica è stata prima di tutto testimone di giustizia, guida della cognata Rita Atria, morta suicida a 17 anni all’indomani dell’eccidio di via D’Amelio. Disperata per la morte di Paolo Borsellino, il magistrato diventato un punto di riferimento della nuova vita di entrambe, Rita si tolse la vita a Roma, dove viveva, dividendo i suoi giorni con Piera nella condizione di testimoni di una faida in coda alla seconda guerra di mafia degli anni Ottanta. Ventenne e con una ‘picciridda’ di tre anni, Piera intraprese un cammino irto di difficoltà e ostacoli che ne ha fatto inevitabilmente un simbolo.

Oggi, con un nuovo compagno e una nuova famiglia, altri figli, ripercorre il cammino che l’ha portata fin qui e spiega a LiveSicilia perché “l’8 marzo non è un giorno di festa, ma una giornata della memoria per ricordare il sacrificio di molte donne. La nostra festa è ogni giorno. E ogni giorno dobbiamo ricordare di essere indipendenti e libere”. Non a caso il primo libro che Piera ha regalato ai suoi figli è stata la Costituzione: “Devono capire quali sono i loro diritti e i loro doveri per non essere mai sopraffatti, e devono ricordare ogni giorno quelli violati”.

Piera entra nel programma di protezione il 30 luglio 1991, dopo aver assistito alla morte del marito Nicola, freddato davanti ai suoi occhi il 24 giugno dello stesso anno, e figlio del potente boss Vito Atria, ufficialmente pastore e allevatore di pecore, ma di fatto appartenente a una cosca mafiosa e ucciso in un agguato della sanguinosa faida di Partanna: “Fu lui a costringermi a sposare Nicola”. Un matrimonio obbligato sotto ricatto: “Se non avessi acconsentito avrebbe ammazzato la mia famiglia”.

Da quel momento per Piera inizia il calvario: minacce, vessazioni, violenze. Riesce ad uscirne grazie alla madre che “mi ha insegnato una parola importante: il rispetto” e a “zio Paolo” Borsellino “un gentlemen di altri tempi, un padre affettuoso, un amico, una spalla su cui io e Rita abbiamo pianto molto perché noi, con quel mondo lì, non volevamo averci niente a che fare”.

Piera va contro le leggi dell’omertà. Niente rapporti loschi per mantenere il potere in una città macchiata di sangue e per troppo tempo impunita: “Prima a Partanna era un far west, l’aria era intrisa di mafia. Verso la fine degli anni ’80, inizi anni ’90 si sparava per strada, adesso la gente non rischia più come allora. Lo dicono gli arresti, come quello di Nicola Accardo, arrestato a seguito di indagini con l’accusa di essere il braccio destro di Matteo Messina Denaro, e in ultimo quello dello stesso superboss. Quando torno nella mia città e respiro, metto un filtro nei mie polmoni, respiro l’aria buona, quella della giustizia e non quella della mafia”.

L’attualità, dopo la cattura del superboss, porta ancora una volta alla ribalta quel mondo di valori all’incontrario che Piera conosce bene. Intorno a Messina Denaro una catena di solidarietà imperniata sul ruolo della sorella Rosalia, Rosetta come la chiamavano in famiglia, congiunta e complice del capomafia, in un impasto di affetti e condivisione di scopi: “Ci si sorprende oggi che le donne vengono arrestate perché prendono il comando. Ma le donne hanno sempre avuto un ruolo importante nelle famiglie mafiose, solo che questo prima non emergeva. Donne come Ninetta Bagarella, Rosalia Messina Denaro sono talmente intrise di mafia che non cambieranno mai idea, perché sono nate in quelle famiglie, con quella cultura, pensano di stare nel giusto. È questo il problema. Io mi sono sempre ribellata a questo contesto. La differenza tra me e Rosalia è proprio questo: il contesto che, a differenza sua, io non ho assimilato. Ho invece mostrato che non bisogna essere per forza conniventi con la mafia”.

Quindi l’appello a tutte le donne che vivono in contesti mafiosi: “La malavita non porta a niente, nessuna madre dovrebbe avviare il proprio figlio a quel mondo, anche se molte donne istigano i figli a continuare questa vita, come ha fatto mia suocera con suo figlio. Quando è morto don Vito, mia suocera, Giovanna Cannova, ha istigato il figlio Nicola a vendicarlo e a seguire le orme del padre. Questo succede perché molte madri, intrise di quel sangue mafioso, istigano i propri figli a continuare quel percorso. Queste donne, invece, devono ribellarsi per salvare la propria terra e il proprio onore, ricordandosi che in fondo alla mafia ci sono solo due strade: galera o morte”.

Per Piera navigare contro la corrente che allora era soverchiante è stato tanto pericoloso quanto difficile. “Riprendere il mio nome, la mia identità, non è stato facile dopo 27 anni. Quando ho deciso di tornare ad essere Piera Aiello, nel 2018, mia figlia mi ha detto che voleva mantenere le sue nuove generalità. L’indipendenza del pensiero è fondamentale. Essere donne vuol dire anche questo: essere libere di scegliere. Ognuno di noi in questa terra deve scegliere e lasciare un segno. Io penso di lasciare un’idea di lotta alla mafia, di dire che se si vuole si può, si deve solo scegliere, appunto, da quale parte stare. Per questo ogni giorno ripeto ormai come fosse un mantra ‘buongiorno Rita, buongiorno zio Paolo’”.


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