"Cu mancia fa muddiche...." | Pizzo a San Lorenzo: arresti - Live Sicilia

“Cu mancia fa muddiche….” | Pizzo a San Lorenzo: arresti

Paolo e Tommaso Bonfardeci, padre e figlio rispettivamente di 47 anni e 23 anni, chiedevano il pizzo al titolare di un'attività di San Lorenzo: per loro sono scattate le manette. A finire nel mirino della polizia, due estorsori palermitani accusati di tentata estorsione nella zona che un tempo era la patria dei Lo Piccolo. Le loro richieste di denaro erano state anticipate da intimidazioni che periodicamente erano indirizzate all'esercente.
Palermo. Arrestati padre e figlio
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Un’intimidazione a suon di carte siciliane e in puro stile mafioso: “Ti raccomando, il bambino ha bisogno, cu mancia fa muddiche”. Questa la minaccia degli estorsori che avevano preso di mira un esercente della zona di San Lorenzo, scritta su una carta da gioco che raffigurava due denari. Dall’altro lato della carta, la frase “A tranquillità, ci vediamo prima delle feste, bella”. Sono scattate le manette per i due esattori del pizzo di Ballarò, Francesco Paolo Bonfardeci, 47 anni e il figlio Tommaso, 22 anni, accusati di tentata estorsione aggravata in concorso.

Le indagini della polizia sono iniziate subito dopo la denuncia della vittima, avvenuta a dicembre: alla vigilia delle festività natalizie, infatti, il commerciante ha raccontato di avere subito la prima intimidazione. Qualcuno conosceva bene i suoi movimenti e la sua famiglia: a confermare ciò, una lettera anonima in cui veniva ribadita, da parte degli estorsori, la necessità di “un aiuto economico”. Righe in cui appariva spesso la frase “Cu mancia fa muddiche”. E non a caso. La vittima ha infatti immediatamente collegato gli autori della lettera al nome della trattoria di Ballarò vicina alla famiglia dei Giardina. Il locale di via Nunzio Nasi – che la notte diventa punto di riferimento per i giovani amanti del centro storico di Palermo – è gestito da Luigi Giardina, sposato con la sorella di Gianni Nicchi, il giovane boss in ascesa arrestato nel maggio del 2009.

Inizialmente, l’obiettivo di padre e figlio sembrava unicamente quello della riassunzione del ragazzo, un tempo impiegato nell’attività commerciale della vittima, ma recentemente licenziato per gravi inadempienze, al punto che il padre, era riuscito ad ottenere un incontro con l’esercente per chiedergli di continuare a farlo lavorare. Un incontro che si è basato sul racconto dei problemi e le difficoltà da affrontare, da parte dei Bonfardeci, a causa del processo a carico del ragazzo, già fermato l’anno scorso dalla polizia, nel corso di un blitz antidroga. Il negoziante si è però rifiutato di riassumere il giovane ed ha preferito recarsi in questura, dove ha dettagliatamente raccontato le minacce subite, compresa quella ricevuta su Facebook dal figlio, da parte di Bonfardeci junior. Ma non finisce qui perché nel mirino dei due taglieggiatori era finita anche la moglie dell’esercente, aggredita e rapinata. Ma anche la sua auto, più volte passata al setaccio. Agli agenti della squadra mobile è bastata una perquisizione nell’appartamento dei Bonfardeci per far luce sulla vicenda: a casa dei taglieggiatori, infatti, è stato ritrovato il mazzo di carte con quella dei due denari mancante. Una perizia calligrafica, infine, ha sciolto ogni dubbio su chi fosse l’autore della lettera anonima minatoria, ovvero, lo stesso Tommaso Bonfardeci.


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