CATANIA – L’hanno chiamato “approccio preventivo di analisi e soluzione delle circostanze rilevanti e delle criticità per l’attuazione del Piano”. Si legge tagliamo, o meglio “definanziamo“, alcuni capitoli del Pnrr che mettevano a rischio il rispetto della scadenza del 2026 e dei costi preventivati. È la proposta di modifica del Piano nazionale di ripresa e resilienza a cui lavora il governo di Giorgia Meloni e che riguarda molto da vicino Comuni come Catania. Perché tra le misure da definanziare è stata individuata anche quella che riguarda la “Valorizzazione dei beni confiscati alle mafie“. Trecento milioni di euro che sarebbero dovuti servire per prendere in mano l’enorme patrimonio tolto alla criminalità organizzata e restituirlo alla collettività.
L’annuncio
Una nota del dipartimento per le Politiche europee di Roma chiarisce che le misure tagliate – in totale si tratta di 15,9 miliardi – saranno salvaguardate “attraverso la copertura con altre fonti di finanziamento, come il Piano nazionale complementare al Pnrr e i fondi delle politiche di coesione“. Si tratta, cioè, di fondi che ancora devono essere definiti. Nel frattempo, però, quello che c’era dovrebbe saltare. Inclusa la parte legata alle mafie che, per usare le parole del ministero, avrebbe mirato a “promuovere lo sviluppo economico, sociale e civile nelle aree caratterizzate dalla presenza della criminalità organizzata, attraverso un investimento per la riqualificazione e la valorizzazione dei beni confiscati nelle Regioni del Sud“. La Sicilia su tutte, non fosse altro che per la quantità di beni sequestrati e confiscati sui territori.
I progetti di Catania
Il Comune di Catania di progetti Pnrr per i beni sequestrati e confiscati ne ha presentati sei. Con un impegno che Palazzo degli elefanti non aveva mancato di sottolineare. Soprattutto in virtù dei nomi altisonanti dei personaggi a cui gli immobili dei progetti erano stati confiscati. Il supermercato di via Anapo, quasi 650 metri quadrati, era stato assegnato al municipio etneo nel 1999 dopo essere stato tolto a Nitto Santapaola, il padrino di Cosa nostra nel capoluogo etneo. Da supermercato della mafia che era, diceva l’allora assessore ai Beni confiscati Michele Cristaldi, si sarebbe dovuto trasformare in un “supermercato sociale“. Coi fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Stessa sorte sarebbe dovuta toccare alla casa di Santapaola, quella dove è stata uccisa sua moglie Carmela Minniti, nel Comune di San Gregorio di Catania.
Sempre alla famiglia mafiosa Santapaola-Ercolano fa poi riferimento la bottega in via Castello Ursino, tolta dalle mani del boss Natale D’Emanuele, parente di Nitto e controllore del “business del caro estinto“, in un regime che per anni è stato di quasi totale monopolio delle onoranze funebri all’ombra dell’Etna. Nel novero degli immobili da riqualificare coi fondi in arrivo dall’Europa, poi, c’erano una villetta a Vaccarizzo, un terreno a San Giorgio, l’immobile di via Monte Sant’Agata che sarebbe dovuto diventare lo sportello comunale per i beni confiscati, e l’ex centro scommesse in viale Castagnola, confiscato a Orazio Buda, cugino del boss Orazio Privitera del clan Cappello.
Le conseguenze
Che fine facciano i bandi già partiti o già aggiudicati non è ancora chiaro. Perché per rispettare le scadenze del Pnrr l’amministrazione comunale aveva tentato di correre. E i bandi del Piano nazionale di ripresa e resilienza potevano beneficiare di semplificazioni speciali (procedure negoziate, progetti di fattibilità sufficienti per l’aggiudicazione dei lavori, per dirne due) sempre ai fini della rapidità di realizzazione delle opere. Cosa accadrà, quindi, a quanto è stato fatto contando sui finanziamenti e sulle agevolazioni del Pnrr e che, invece, sarà pagato con fondi diversi? A Catania, i progetti valevano 2,1 milioni di euro. Soldi che, adesso, dovranno arrivare da altre parti.