Se dipendesse da me, eliminerei da tutti codici e testi di legge, la parola “difensore”. Si, quella che è normalmente riferita alla figura dell’avvocato. Forse solo così, ma dopo un paio di generazioni, si riuscirebbe ad eliminare quel colossale equivoco che attraversa l’intera collettività, e che vede nell’avvocato difensore una sorta di “sodale” dell’imputato. E’ un equivoco che nasce anche dalle suggestioni o dagli automatismi che il termine stesso, “difensore”, evoca.
Difendere significa prendere le parti, almeno nella sua accezione più immediata. Nell’equivoco è caduto persino il Presidente del Consiglio incaricato, Prof. Avv. Giuseppe Conte, quando ha affermato che sarebbe stato “l’avvocato difensore del popolo italiano”. Affermazione, questa, che ha suscitato reazioni e commenti all’insegna dell’ironia e del sarcasmo, tutti ispirati alla figura dell’avvocato difensore che, a dire il vero, tanto simpatica non è mai stata.
In realtà l’avvocato non difende affatto l’imputato. Non in quel senso. Lui, l’avvocato, si limita solo a sorvegliare che la pretesa punitiva che lo Stato esercita attraverso il processo, si svolga secondo le regole che lo Stato stesso si è dato. Il che vuol dire, ma è solo un esempio , che se uno commette un reato per il quale è prevista la pena, poniamo, di un anno, l’avvocato deve solo sorvegliare che di anni non ne vengano inflitti 3 o 4. E che questa pena (quella prevista, e non un giorno di più) venga inflitta dopo un processo che ha vari passaggi, tutti rigorosamente previsti, e tutti da rispettare.
Infine, e chiudo perché non voglio addentrarmi in inutili tecnicismi, che ci siano le prove della responsabilità dell’imputato, e che esse siano state acquisite secondo quelle regole previste dal codice. Regole, appunto. Esistono anche nel calcio, nel tennis, nel bridge, ovunque. Va da sé, che è compito dell’avvocato prospettare tesi difensive alternative a quelle dell’accusa. Spesso capita che prevalgano, il che vuol dire che gli argomenti accusatori tanto solidi non dovevano essere. Se invece, come si verifica altrettanto spesso, vengono disattese, si dovrà pervenire alla conclusione che l’accusa ha resistito agli stress test.
Nell’uno, e nell’altro caso, “giustizia” sarà stata fatta. Tutto qua. Nessun afflato, nessuna complicità, nessuna condivisione, nessuna solidarietà o empatia né con l’imputato né, soprattutto, col fatto contestatogli.
E’ un argomento che affronto dai tempi dell’università. Ricordo bene le discussioni tra noi, studenti di legge, quando ci ponevamo il problema di come, un giorno, avremmo mai potuto difendere gli autori di crimini, specie quelli più brutali. Quelli che più che gridare “giustizia”, gridano “vendetta” che è un sentimento simpaticamente ed adorabilmente umano, a patto che lo si chiami col suo esatto nome. Io mi divertivo un sacco nel rispondere che, per quanto mi riguardava, non avrei avuto alcuna difficoltà ad assumere la difesa dello “stupratore di mia sorella” (si, erano le mie testuali parole), rimarcando che comunque non l’avrei mai fatto, ma solo perché l’inevitabile coinvolgimento emotivo, avrebbe azzerato la necessaria lucidità ed il doveroso distacco per guardare alle regole, le sole che contavano.
Nessuna implicazione etica, insomma, ma solo un fatto di correttezza nei confronti dello stupratore. Loro mi guardavano stupiti e ci ridevano sopra, collocando il tutto nell’ambito delle consuete provocazioni che tanto mi divertivano e che rappresentavano un tratto costante del mio modo di essere. Allora avevo 20-21 anni. Il fatto è che, provocazioni a parte, non ho cambiato idea. Quella era, e questa è la mia visione dell’avvocato. La trovo dannatamente semplice. Quasi universale. In realtà, non lo è affatto. Neppure in ambito forense.
Pensate, molti miei colleghi rifiutano (posizione rispettabilissima, sia chiaro) di assumere la difesa di imputati di reati infamanti. Hanno una loro graduatoria che, a dire il vero, non mi è del tutto chiara. Il mafioso si, il pedofilo no, il corrotto si, lo stupratore no. Ad ogni modo, così è. Ecco, ho perso il filo del discorso. Non lo chiamerei più “difensore”, ma “garante dei diritti” Così evitiamo equivoci, automatismi e suggestioni. E magari gli avvocati vi diventano pure simpatici.