“Non ho mai ricevuto soldi da Grancini, né ho mai contribuito a fare slittare o insabbiare processi in Cassazione”. Si difende così Guido Peparaio, l’impiegato della Suprema Corte, imputato nel processo Hiram in corso davanti alla III sezione del tribunale di Palermo. Sul banco degli imputati, accusati a vario titolo di corruzione aggravata dall’avere agevolato la mafia e violazione del sistema informatico della Cassazione, oltre a Peparaio, ci sono l’imprenditore Michele Accomando, il ginecologo palermitano Renato Gioacchino De Gregorio e gli imprenditori Calogero Licata, Calogero Russello e Nicolò Sorrentino originari delle province di Agrigento e Trapani.
Al centro della vicenda c’é però il faccendiere umbro Rodolfo Grancini, che è giudicato con il rito abbreviato e per il quale i pm hanno chiesto 6 anni di carcere. Secondo Grancini, massone e presidente di uno dei Circoli del Buon governo di Marcello Dell’Utri, che da mesi rende dichiarazioni ai pm di Palermo, Peparaio avrebbe ricevuto dei soldi da lui per avere informazioni sui ricorsi da stoppare o insabbiare.
“Conobbi Grancini in treno – ha raccontato Peparaio – Eravamo entrambi pendolari. Non siamo mai diventati amici, la nostra era una conoscenza. In diverse occasioni lui mi chiese di avere informazioni su ricorsi che riguardavano alcuni appartenenti del Circolo tra i quali Sorrentino, Russello, Gianbattista Agate. In questi casi gli fornivo la copia della visualizzazione sintetica dei ricorsi. Quando mi chiese invece di ritardare i ricorsi, io risposi sempre in maniera evasiva e non feci mai nulla. Del resto, non era in mio potere. Solo il presidente titolare della sezione della Cassazione poteva modificare la trattazione dei ricorsi”. Il processo è stato rinviato al 9 aprile.