PALERMO – Dal passato riemerge una storia legata alla stagione che portò alla cattura del padrino più ricercato e allora capo indiscusso di Cosa Nostra, Bernardo Provenzano. Una storia di intelligence e rapporti border line, di poliziotti e agenti dei servizi segreti.
Per inquadrare la pericolosità sociale di Carmelo Lucchese, l’imprenditore della grande distribuzione a cui oggi è stato sequestrato un patrimonio milionario, nel provvedimento della sezione Misure di prevenzione si fa riferimento al racconto di Sergio Flamia, boss pentito di Bagheria. Prima di finire in carcere Flamia ha fatto il doppio gioco: mafioso e fonte dei servizi segreti (leggi il racconto del 2014).
Flamia raccontò che nel 2005 “Lucchese mi cerco con urgenza e mi disse di aver ascoltato una telefonata tra Tommaso e i suoi colleghi nel corso della quale Tommaso dava indicazioni su un servizio di osservazione”.
Tommaso era ed è un poliziotto, in quegli anni in servizio alla Catturandi della squadra mobile di Palermo, la sezione che nel 2006 avrebbe scovato Provenzano nel covo di Montagna dei Cavalli a Corleone. Sarebbe stato Tommaso, così ha detto Flamia, a dire a Lucchese “che questa volta il numero 1 (e cioè Provenzano, ndr) era in trappola e faceva riferimento ad una trazzera”. Fu aperta un’inchiesta sul poliziotto che venne pure interrogato. Fascicolo archiviato forse proprio alla luce del ruolo dell’agente per i servizi. La conferma arriva da una sua promozione di tre anni fa.
Secondo il pentito, c’era un rapporto privilegiato fra Lucchese e il poliziotto che lo avrebbe informato anche di altre operazioni. Ad esempio quella denominata “Gotha” che tolse l’acqua in cui sguazzava Provenzano. Per il capomafia fu l’inizio della fine. Addirittura Flamia aveva appreso che le ricerche erano indirizzate su Montagna dei Cavalli. Il poliziotto spifferava le notizie a Lucchese, che aveva affittato alla moglie dell’agente un locale in uno dei supermercati per vendervi giocattoli, affinché le passasse a Flamia.
Flamia che aveva pure chiesto a Lucchese una casa sicura dove ospitare il latitane. Dall’imprenditore sarebbe arrivata piena disponibilità: “… dice Sergio lo facciamo se c’è bisogno lo facciamo, che non è mai stato fatto poi attenzione però mi aveva dato la disponibilità”.
“Non è stato fatto”, Provenzano non andò a nascondersi a casa di Lucchese. Probabilmente scelse proprio allora a Montagna dei Cavalli, nella sua Corleone dove il capo della Catturandi, Renato Cortese, lo arrestò l’11 aprile 2006.