PALERMO – “Cercate macchine per scrivere!”. Questo fu l’imput che fu dato ai militari del Ros che la notte del 10 novembre 1998 andarono ad arrestare Giovanni Napoli, fedelissimo del boss latitante Bernardo Provenzano, a cui puntavano i carabinieri.
E però a casa di Giovanni Napoli, niente macchine per scrivere, lo strumento preferito da Binnu per scrivere i suoi pizzini. Ma ben altro, tanto altro. Telefonini, tre, floppy disk, un’agenda elettronica e anche un personal computer. Una “potenziale” miniera di informazioni sul tesoro segreto di Bernardo Provenzano su cui, però, non furono effettuati particolari approfondimenti.
Sequestrati di notte e restituiti l’indomani mattina alla moglie di Giovanni Napoli. Riemerge, al processo d’appello sulla trattativa tra Stato e mafia, questo caso. Sul banco dei testimoni, davanti alla Corte di assise presieduta da Angelo Pellino, l’accusa infatti chiama due sottufficiali che, all’epoca dei fatti, erano al ROS ed eseguirono l’arresto di Giovanni Napoli.
Sebastiano Serra, oggi 49 anni, all’epoca era in tirocinio al Reparto anticrimine di Monreale: “Io mi occupai, una volta arrivati a casa di Giovanni Napoli, di notificare il provvedimento e di redigere il verbale di arresto e di perquisizione. Non ho fatto il giro dell’appartamento e ho scritto – ha detto alla Corte di assise di appello – sempre sotto lo sguardo adirato e innervosito di Napoli. Erano altri militari e forse anche il maresciallo Gigliotti, che si occuparono della perquisizione”.
Il dato è che vengono sequestrati i 3 telefonini, 1 rilevatore di microspie – “che vengono acquisiti per fini investigativi” – ma l’indomani in tarda mattinata vengono restituiti. Nel verbale di restituzione, fa presente l’accusa, solo su un telefonino sono stati effettuati controlli: “Io non mi sono occupato di questo e non so che tipo di verifiche e controlli siano stati fatti. Non so nulla dei floppy disk”.
Ancora più “opachi” i ricordi di Pasquale Gigliotti, nome di battaglia “Tigre”, che dopo oltre un decennio tra varie stazioni dell’Arma e il nucleo investigativo del comando provinciale, approda tra aprile e maggio del ‘98 al ROS. “Non ho alcun ricordo dell’operazione che riguarda Giovanni Napoli – ha detto il sottufficiale oggi in pensione ma che dal 2001 al 2018 è transitato al Sismi/Aisi – in linea di massima comunque io mi occupavo della logistica. Non ricordo di alcun sopralluogo a Mezzojuso (altra abitazione di Giovanni Napoli, ndr) e non avevo alcuna competenza informatica. Se ho firmato i verbali di restituzione dei dischetti – ha proseguito – è per rispetto dei miei colleghi che si occupavano delle indagini, è una questione di fiducia. Ma io non c’entravo nulla, a novembre ancora non ero stato assegnato ad alcuna sezione”.
Con la deposizione dei due testi di oggi il presidente della Corte si prepara a dichiarare chiusa l’istruttoria dibattimentale. E’ stato disposto un rinvio al 22 marzo per consentire il deposito di “prove contrarie” da parte della difesa del generale Mario Mori. Ma intanto è già pronta la scaletta delle prossime date per l’avvio della discussione. L’accusa avrà a disposizione tre udienze, 10, 17 e 24 maggio. Le difese inizieranno il 7 giugno, ogni lunedi, fino al 12 luglio. Le parti civili parleranno in chiusura del 24 maggio e il 7 giugno, prima dell’avvio delle arringhe difensive.