Rinviati a giudizio 're dei surgelati' Vetrano e il boss Pietro Bruno

Rinviati a giudizio ‘re dei surgelati’ Vetrano e il boss Pietro Bruno

Sono ritenuti vicino a Cosa Nostra. Il processo inizierà a maggio

GENOVA – È stato rinviato a giudizio a Genova Salvatore Vetrano, il “re dei surgelati” di Palermo, ritenuto dagli inquirenti vicino a Cosa Nostra. Il processo inizierà il 7 maggio.

A processo anche il suocero Pietro Bruno, secondo gli investigatori legato a Totò Riina.

Bruno, aveva scritto il gip, è il “reggente della consorteria mafiosa di Capaci/Isola delle Femmine, organica al “mandamento” palermitano di San Lorenzo, già detenuto presso il carcere di Marassi”.

Rinviati a giudizio anche la moglie di Vetrano, Anna Bruno (difesa dalle avvocate Laura Razetto e Laura Liguori) e l’imprenditore ittico genovese Mauro Castellani (difensori Eleonora Rapallini e Francesco Iacobelli). Sebastiana Germana (legali Luigi Latino e Paolo Scarcià) ha scelto il rito abbreviato. Stralciata, per motivi di salute, la posizione di Giuseppe Licata (legali Massimo Boggio e Loredana Greco).

Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, l’associazione, attraverso società con sede in Spagna, Portogallo e Italia che avevano come amministratore di fatto e socio occulto Vetrano, avrebbe messo in atto una serie di frodi Iva.

Le accuse

Vetrano (difeso dagli avvocati Razetto e Alessandro Vaccaro) era stato estradato dalla Spagna ed è l’unico a cui i pm Federico Manotti e Giancarlo Vona contestano l’aggravante mafiosa. Per gli altri le accuse, a vario titolo sono associazione per delinquere, trasferimento fraudolento di valori, autoriciclaggio, dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, dichiarazione infedele, omessa dichiarazione, emissione di fatture per operazioni inesistenti e omesso versamento Iva aggravati dalla transnazionalità.

A Pietro Bruno è contestata la ricettazione e la mancata comunicazione della variazione patrimoniale per persona sottoposta alla sorveglianza speciale.

I pm, in particolare, gli contestano di non avere comunicato di avere a disposizione oltre 125 mila euro in contanti e sei orologi di lusso del valore di circa 136 mila euro. Inoltre, l’anziano avrebbe ricevuto, in più occasioni da Vetrano circa 280 mila euro in contanti. I finanzieri avevano trovato in casa di Licata circa tre milioni in contanti.

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