L'omicidio di Roberta Siragusa: uccisa e bruciata, ergastolo al fidanzato - Live Sicilia

L’omicidio di Roberta Siragusa: uccisa e bruciata, ergastolo al fidanzato

L'accusa regge anche in appello

PALERMO – Ergastolo. La Corte di Assise di Appello, presieduta da Angelo Pellino (a latere Pietro Pellegrino) conferma il carcere a vita per Pietro Morreale, il giovane di Caccamo accusato di aver ucciso, il 23 gennaio del 2021, l’ex fidanzata Roberta Siragusa. Ad assistere alla lettura del verdetto c’erano da una parte i parenti della povera vittima, dall’altro quelli dell’imputato.

Il padre, la madre e la nonna di Roberta Siragusa

Confermate le provvisionali di 225 mila euro per la madre della diciassettenne, Iana Brancato, di 229 mila euro per il padre, Filippo Siragusa, di 209 mila euro per il fratello Dario e di 117 mila euro per la nonna, Maria Barone. Erano parte civile con l’assistenza degli avvocati Giovanni Castronovo, Giuseppe Canzone, Sergio Burgio e Simona La Verde.

“Una sentenza che umanamente ci rende tristi, poiché siamo consapevoli del fatto che questa vicenda ha sconvolto la vita di due famiglie – spiegano i legali di parte civile -. Sotto un profilo squisitamente giuridico siamo, invece, soddisfatti per il fatto che la Corte di Assise d’Appello ha valutato positivamente il grande lavoro svolto dalla Procura della Repubblica di Termini Imerese, in sinergia con il collegio difensivo di parte civile, ritenendo che il corredo probatorio acquisito in atti abbia dimostrato,al di là di ogni ragionevole dubbio, che Pietro Morreale è certamente il responsabile dell’omicidio della povera Roberta Siracusa. Una sentenza di giustizia, che ha fornito una risposta chiara e convincente ai familiari della ragazza uccisa,che avevano il diritto di sapere come e perché è morta la loro tanto amata Roberta”.

“Hai qualcosa da dire…?”

Poco prima che i giudici entrassero in camera di consiglio, il sostituto procuratore generale Maria Teresa Maligno aveva lanciato una sorta di appello all’imputato: “Pietro, ti parlo come se fossi tua madre, devi dire qualcosa?”. L’imputato è rimasto impassibile. Così come lo era alla lettura del verdetto.

Nel corso della sua requisitoria il sostituto procuratore generale aveva ripercorso sia le fasi del delitto che il rapporto burrascoso tra i due giovani. Sarebbero stati 33 gli episodi di violenza fisica e psicologica subiti da Roberta. Qualche giorno prima del delitto Morreale avrebbe tentato di uccidere la ragazza di 17 anni. Era geloso e voleva che la ragazza fosse sua e solo sua.

Un primo tentativo di omicidio

“Voleva ammazzarmi – scriveva Roberta a un amico – mentre camminava parlava sottovoce e gli dicevo ma che dici e non mi rispondeva… appena siamo arrivati è sceso dalla macchina, ha aperto il cofano e ha preso la corda e degli attrezzi e mi veniva contro. Mi sento male”.

Roberta era cosciente del rischio che correva: “Mi ammazzerà me lo sento… mi ammazza me lo sento mi ha messo la corda al collo stava per stringere mi sono fatta male anche alle dita per toglierla, se lo lascio non posso fare neanche più una passeggiata da sola mi ammazzerà se devo lasciarlo devo farlo davanti ai miei perché se lo faccio quando siamo soli mi ammazza davvero”.

La difesa

Secondo l’avvocato della difesa, Gaetano Giunta, si sarebbe trattato di un tragico incidente o in alternativa di un suicidio. Roberta si sarebbe cosparsa di benzina per poi darsi fuoco. Perché lo avrebbe fatto? Perché Monreale, dopo aver scoperto che la ragazza aveva un’altra relazione, le disse che avrebbe raccontato tutto alla madre. Roberta avrebbe preferito farla finita piuttosto che affrontare la reazione della madre.

Di sicuro, così ha detto lo stesso legale della difesa, un reato è stato commesso: Monreale spostò il corpo della ragazza dal campo sportivo fino al dirupo dove poi sarebbe stato ritrovato. Lo avrebbe fatto per rispettare la volontà di Roberta Siragusa. Sarebbe stata lei in passato a dire che in caso di morte voleva essere seppellita lì. Una sorta di testamento da parte di una ragazzina di appena 17 anni. Dunque per la difesa non si è trattato di un femminicidio e “non bisogna farsi condizionare dall’onda mediatica”. Monreale non era geloso, non aveva scoperto la relazione di Roberta e non c’è un solo segno di difesa da parte della ragazza. Infine il legale ha contestato alcuni vuoti investigativi ad esempio il fatto che non siano state sequestrate le scarpe indossate da Monreale la mattina che si presentò in caserma per denunciare quanto era accaduto la notte precedente.

Il delitto è stato contestato con le aggravanti della premeditazione e quella legata alla sussistenza del rapporto sentimentale che legava la vittima al suo carnefice. La difesa di Morreale cercherà di fare valere le proprie ragioni nell’ultimo step in Cassazione.


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