Catania, l'uomo d'onore riservato: le ammissioni e l'appello

I Santapaola e il boss “riservato”: ricorso dopo le ammissioni

Francesco Napoli, la condanna a 14 anni e l'appello

CATANIA – La campanella che segna l’ingresso in aula dei giudici. L’appello degli imputati e dei difensori. Le costituzioni delle parti. Tutto questo è ancora lontano. Ma intanto Francesco Maria Tancredi Napoli, uno degli ultimi boss conosciuti della mafia catanese, tramite i suoi legali, ricorre in appello contro la sentenza Sangue Blu.

A pochi mesi dal deposito delle motivazioni del verdetto emesso dal Gup Chiara Di Dio Datola, dunque, si va in appello. La Corte d’appello potrebbe fissare l’udienza di secondo grado fra qualche mese, forse tra febbraio e marzo. Napoli, si ricorda, in primo grado aveva scritto al Gup e reso delle clamorose ammissioni.

Le ammissioni

Dichiarazioni che sono state la conferma che fosse stato il capo: il reggente del clan Santapaola Ercolano a Catania. Ha detto di averlo fatto per non essere riuscito a sottrarsi a un destino che ha definito “ineluttabile”, considerato che aveva immaginato di andare via dalla Sicilia ma che era stato costretto a restare.

Ha specificato che già da prima di essere scarcerato, negli ambienti, si sapeva che sarebbe toccato a lui reggere le sorti del clan. Quasi toccasse a lui per successione dinastica, dato che è nipote di Pippo Ferrara, soprannominato “u cavadduzzu”, e imparentato con Nitto Santapaola. Ma di fatto era anche l’unico ad avere un carisma tale da poter ricoprire quel ruolo.

La nomina del boss

Una nomina scomoda che, ha scritto al giudice, avrebbe cercato di non accettare, nonostante in carcere si fosse mosso in qualche modo per dare sostegno agli affiliati, per portare avanti le loro istanze, forte anche del carisma che gli veniva riconosciuto, anche, ovviamente, per via delle sue parentele.

Poi però, dato che non poteva lasciare la Sicilia per un provvedimento della magistratura – e anche per via di pressioni che ha detto di aver ricevuto – aveva deciso in qualche modo di accettare, virando su una soluzione intermedia.

L’uomo d’onore “riservato”

Lo chiamavano “uomo d’onore riservato”. Usava un altro soggetto a rappresentarlo nelle riunioni. Al processo, Napoli ha messo nero su bianco anche un altro punto importante, ovvero l’intenzione di recidere quel legame con il mondo della mafia.

Ha detto di voler prendere le distanze, di chiamarsi fuori. Sta di fatto che il Gup lo ha ritenuto colpevole. E quelle ammissioni, tardive – perché arrivate solo a processo in corso – non gli hanno fatto ottenere sconti. Ora la difesa ha presentato ricorso.

Il ricorso

Napoli è difeso dagli avvocati Salvo Pace e Giuseppe Marletta. Il ricorso della difesa, molto articolato, impugna la sentenza di primo grado, contestando vari elementi, ma soprattutto il cosiddetto “trattamento sanzionatorio”. Se ne parlerà in appello.


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