Il boss dei Santapaola: confermato 41 bis, al via l’appello per Napoli

Il boss dei Santapaola: confermato il 41 bis, al via l’appello per Napoli

Il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha respinto il ricorso dei suoi legali

CATANIA – Il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha confermato il provvedimento del Ministro della Giustizia: sì al carcere duro per Francesco Maria Tancredi Napoli. Per la Dda sarebbe uno degli ultimi capi conosciuti dei Santapaola a Catania, un capo provinciale di Cosa Nostra. Per lui era stata decisa, dai mammasantissima del clan, la formula dell’“uomo d’onore riservato” per tentare, senza troppo successo, di preservarlo dalle indagini delle forze dell’ordine.

Accade mentre a Catania si è aperto con un rinvio, l’altro ieri, il processo di appello “Sangue blu” , dal titolo dell’operazione dei carabinieri che ha decapitato il vertice provinciale di Cosa Nostra. Napoli dunque attenderà l’esito del giudizio in stato di detenzione ai sensi dell’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario, al carcere di Viterbo dove è recluso. Il Tribunale di Sorveglianza ha respinto il ricorso dei suoi avvocati.

Il rinvio in Corte d’appello

In aula la seconda sezione penale della Corte d’appello, presieduta da Marcello Fallone, ha rinviato tutto al prossimo 20 maggio. Il motivo è l’impedimento dell’avvocato di uno dei numerosi suoi co-imputati. Al processo Sangue blu le condanne erano state decine. E quasi tutti hanno fatto ricorso in appello. Napoli in primo grado è stato condannato a 14 anni.

Il suo pedigree mafioso aveva dato il nome all’inchiesta, “sangue blu”, quasi che all’interno di Cosa Nostra potesse individuarsi una sorta di aristocrazia. E Napoli, nipote del defunto boss Giuseppe Ferrera, detto ‘cavadduzzu’, ne avrebbe fatto parte di diritto.

La sentenza di primo grado

La sentenza di primo grado a carico di Napoli fu emessa dal Gup Chiara Di Dio Datola, dopo che l’imputato aveva scritto al giudici e fatto clamorose ammissioni. Dichiarazioni che avrebbero confermato il suo ruolo di vertice: quello di reggente del clan Santapaola Ercolano a Catania. Ha detto di averlo fatto per non essere riuscito a sottrarsi a un destino che ha definito “ineluttabile”, considerato che aveva immaginato di andare via dalla Sicilia ma che era stato costretto a restare.

Ha specificato che già da prima di essere scarcerato, negli ambienti, si sapeva che sarebbe toccato a lui reggere le sorti del clan. Quasi toccasse a lui per successione dinastica, dato che “u cavadduzzu” era in qualche modo imparentato, o affine al super-boss Nitto Santapaola. Ma di fatto era anche l’unico ad avere evidentemente un carisma tale da poter ricoprire quel ruolo.

La nomina del boss

Una nomina scomoda che, ha scritto al giudice, avrebbe cercato di non accettare, nonostante in carcere si fosse mosso in qualche modo per dare sostegno agli affiliati, per portare avanti le loro istanze, forte proprio della personalità che gli veniva riconosciuta ed anche, ovviamente, per via delle sue parentele.

La riservatezza e il delegato alle riunioni

Lo chiamavano “uomo d’onore riservato”. Usava un altro soggetto a rappresentarlo nelle riunioni. Al processo, Napoli ha messo nero su bianco anche un altro punto importante, ovvero l’intenzione di recidere quel legame con il mondo della mafia.

Ha detto di voler prendere le distanze, di chiamarsi fuori. Sta di fatto che il Gup lo ha ritenuto colpevole. E quelle ammissioni, tardive – perché arrivate solo a processo in corso – non gli hanno fatto ottenere sconti. Ora la difesa ha presentato ricorso.

Il ricorso della difesa

Napoli è difeso dagli avvocati Salvo Pace e Giuseppe Marletta. Il ricorso della difesa, molto articolato, impugna la sentenza di primo grado, contestando vari elementi, ma soprattutto il cosiddetto “trattamento sanzionatorio”. Se ne parlerà in appello.


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI