CATANIA – Dalla Cassazione arriva un secco no. Non potrà essere trasferito in una sezione di alta sicurezza con gli altri condannati per mafia. Permarranno le limitazioni alla corrispondenza e per lui resta confermata la decisione che fu presa dal Ministero della Giustizia dopo la cattura, che risale al settembre del 2022.
Resterà al 41 bis, il cosiddetto carcere duro per i capimafia, Francesco Maria Tancredi Napoli detto “Ciccio”, colui che per i pentiti e per la Dda sarebbe stato l’ultimo boss conosciuto del clan Santapaola. Sarebbe stato lui il prescelto, l’uomo d’onore “riservato” a cui l’aristocrazia mafiosa catanese affidò le redini del clan.
A Napoli, va precisato, per l’accusa di essere un capomafia, va applicata ancora la presunzione di non colpevolezza, dato che la sua condanna a 14 anni emessa dal gup di Catania Chiara Di Dio Datola, è solo una sentenza di primo grado. Ancora, peraltro, di quel verdetto si attendono le motivazioni.
La decisione della Cassazione
Per il momento la Suprema Corte ha respinto il ricorso dei suoi legali, gli avvocati Francesca Vianello Accorretti del foro di Roma e Giuseppe Marletta del foro di Catania (che assieme al collega Salvo Pace lo difende nel processo a Catania). Pure del verdetto di piazza Cavour si attendono ancora le motivazioni.
Per il momento, comunque, il dato certo è che Napoli resterà al carcere duro. La sua condanna di primo grado, va evidenziato, verosimilmente non andrà in appello prima del prossimo inverno, per i tempi tecnici necessari tra il deposito della sentenza, l’eventuale ricorso e la fissazione in Corte d’appello.
Il profilo del boss
Napoli fu arrestato il 28 settembre 2022. “Protagonista delle dinamiche mafiose catanesi fine degli anni 90”, scrisse il Gip nell’ordinanza, “Napoli ha precedenti per traffico di stupefacenti”. Sarebbe “un personaggio carismatico”, “gravato da una lunghissima carcerazione”.
Nonostante questo, però, uscito dal carcere assunse subito “un ruolo di grande responsabilità in seno all’associazione mafiosa”. Divenne un “uomo d’onore riservato”, una strana locuzione con cui i mafiosi mirano, pure qui con scarsi risultati, a proteggere i loro pezzi da Novanta.
Nel caso di Napoli, peraltro, cercare di mantenere la riservatezza circa la sua presunta “mafiosità”, era perlomeno un obiettivo ambizioso. 47 anni, Ciccio Napoli è nipote di Giuseppe Ferrera “Cavadduzzu”. Un nipote di Nitto Santapaola, parlando di lui, lo avrebbe definito “mezzo parente nostro”.
L’uomo d’onore “riservato”
Fu il pentito Santo La Causa, il 15 maggio 2012, a parlare così di Napoli: “L’uomo d’onore riservato viene “fatto” dai familiari stretti ed è noto solo a chi lo ha ritualmente affiliato che poi decide quando e se presentarlo”.
E ancora: “So da Antonio Motta e da Enzo Santapaola che Ciccio Napoli, nipote di Ferrera Giuseppe, è un uomo di onore riservato. Le ragioni per le quali si fa un uomo d’onore riservato sono le più varie, tra le altre v’è anche la possibilità di utilizzarli in modo occulto evitando di “bruciarli” e se del caso contro taluni esponenti della medesima organizzazione”.
La norma del 41 bis
Il 41 bis, come noto, viene adottato allo scopo di evitare contatti con l’esterno dei boss detenuti. Lui in primo grado è stato ritenuto un capomafia. E va detto che per legge, per l’applicazione del carcere duro non è necessario che vi siano già delle sentenze passate in giudicato.
Si tratta infatti di una norma dell’ordinamento carcerario, introdotta in Italia dalla cosiddetta “legge Gozzini” nel 1986, che prescinde dalla presunzione di innocenza. Essa prevede una serie di limitazioni della libertà ulteriori rispetto al carcere.
Si va dal controllo della corrispondenza alla partecipazione ai processi solo con la formula della videoconferenza; ai vetri divisori durante i colloqui. Un provvedimento su cui è in corso da decenni un acceso dibattito. Il suo scopo è “ripristinare l’ordine e la sicurezza”.