Santapaola, Ercolano e prestanome |Chiesta condanna del figlio di Nitto - Live Sicilia

Santapaola, Ercolano e prestanome |Chiesta condanna del figlio di Nitto

(La foto è tratta dalle riprese della polizia durante i controlli in una delle società sospette)

La Procura ha chiesto la condanna anche per i tre fratelli Ercolano: Mario, Aldo e Salvatore. Alla sbarra anche la moglie di Vincenzo Santapaola.

intestazioni fittizie
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CATANIA – Condanne da tre anni a nove mesi e una assoluzione. Queste le richieste di pena del pm Rocco Liguori presentate al termine della requisitoria che ha scandagliato la delicata indagine della polizia che nel 2012 svela il presunto sistema di prestanome e intestazioni fittizie attorno al nome di Vincenzo Santapaola, figlio del capomafia Nitto, e dei fratelli Mario, Aldo e Salvatore Ercolano (figli di Sebastiano).  Alla sbarra anche la consorte del figlio del “padrino di Catania” Nitto, Vincenza Nauta, moglie di Enzo Santapaola e Pierluigi Di Paola, 40 anni, sposato invece con la figlia di Sebastiano D’Emanuele, cognato di Salvatore Santapaola, fratello di Nitto. Insomma tutto in famiglia, nella famiglia mafiosa più potente di Catania. L’inchiesta fotografa una serie di affari sospetti attorno a ristoranti e società che sarebbero state “fittiziamente” intestate ad alcune ‘teste di legno’.

Il pm Rocco Liguori ha chiesto al Tribunale la condanna a 3 anni per Mario Ercolano, 2 anni e sei mesi per i fratelli Salvatore e Aldo Ercolano. Stessa pena è stata chiesta per Enzo Santapaola, la moglie Vincenza Nauta e i presunti prestanome Daniele Fiore, Giovanni Gangemi e Pierluigi Di Paola. Nove mesi, invece, per Francesco Illuminato. Chiesta l’assoluzione “per non aver commesso il fatto” per Giuseppe Caruso. 

L’apparato probatorio si compone di una serie di intercettazioni ambientali, telefoniche e anche in carcere che proverebbero come i rampolli della famiglia Santapaola – Ercolano avrebbero avuto il controllo (indiretto) di alcune imprese commerciali e della ristorazione. Per l’accusa sono tre le società che sarebbero state controllate dalla famiglia Ercolano – Santapaola attraverso l’intestazione fittizia a prestanome. La “Vecchia Catania di Di Paola Pierluigi” che si occupava del commercio di automobili attraverso il punto vendita “Pd Motors” di San Gregorio sarebbe riconducibile a Mario Ercolano. Era finito nella lente d’ingrandimento della magistratura anche la “Siciliana Tappeti di Gangemi Giovanni”, l’impresa titolare all’epoca delle contestazioni dell’esercizio commerciale “Cash & Carry” di San Gregorio, riconducibile ai fratelli Ercolano. Sarebbe stato invece sotto il controllo di Enzo Santapaola, il capo di Cosa nostra catanese secondo molti collaboratori di giustizia come Fabrizio Nizza e Santo La Causa, il ristorante Sapori di Casa. Il Gip nel 2012 dispose il sequestro preventivo delle attività coinvolte. Il pm Rocco Liguori al termine della requisitoria ha chiesto ai giudici di disporne la confisca.

L’inchiesta parte da un attività di stretto monitoraggio della figura di Mario Ercolano, uno degli uomini di spicco della famiglia che era rimasto libero dopo il blitz Summit che permise di catturare i massimi vertici di Cosa nostra. I boss si erano riuniti attorno a Santo La Causa, l’allora reggente, per organizzare la risposta armata ai Cappello: i carabinieri però li arrestarono in una villetta a Belpasso.  E’ il novembre del 2009 quando la polizia documenta la presenza di Mario Ercolano nell’autosalone Pd Motors. E dalle intercettazioni emergerebbe che il manager occulto sarebbe proprio il figlio di “Ianu” Ercolano, che finisce in manette nel novembre del 2010. L’avvocato Giuseppe Lipera che difende Salvo e Aldo Ercolano ha sin da subito affermato che il processo dimostrerà che “che il fatto non sussiste, o comunque, non costituisce reato”.

Per una serie di controlli incrociati la polizia giudiziaria ascolta un’intercettazione all’interno di un’auto in cui viene proposto a Vincenzo Santapaola l’acquisto delle quote del ristorante “Sapori di Casa”. Il figlio del capomafia ad un certo punto manifesta anche le preoccupazioni sulle conseguenze del suo “pesante” cognome sulla clientela. E anche se il commercialista, in un primo momento, sembra sconsigliare l’affare ad un certo punto la transazione viene conclusa. Solo che ad acquisire le quote sono Vincenza Nauta, moglie di Enzo Santapaola, e la zia acquisita del figlio di Nitto. Il difensore di Vincenzo Santapaola, l’avvocato Francesco Strano Tagliareni ha più volte definito “ardita” l’ipotesi dell’accusa e ha commentato: “Se voleva nascondersi non avrebbe intestato il ristorante alla moglie”.


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