Santapaola, i clan e i processi: sarà un’estate bollente - Live Sicilia

Santapaola, i clan e i processi: sarà un’estate bollente

Da giugno nel vivo i processi Sangue Blu e Terra Bruciata e si tornerà in aula per valutare la confisca dei beni del clan Santapaola Ercolano.
TRIBUNALE DI CATANIA
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CATANIA. Sarà un’estate bollente sul fronte giudiziario per la mafia catanese: tra processi per (appunto) mafia e omicidio. Si andrà in aula pure per le confische. Tra giugno e luglio sono in programma una serie di giudizi a carico dei più importanti capi di Cosa Nostra. Dal processo Sangue blu, a carico di colui che è ritenuto l’ultimo reggente del clan Santapaola Ercolano, ai dibattimenti che vedono alla sbarra boss e seconde linee di Randazzo e Misterbianco, sino al caso della lupara bianca di Vincenzo Timonieri.

Si partirà però il 12 luglio con un processo al capomafia per antonomasia di Catania, ovvero il vecchio boss Nitto Santapaola, pluriergastolano e detenuto al 41 bis. A luglio è in programma la requisitoria del pm nel procedimento che si celebra dinanzi alla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Catania. I giudici qui sono chiamati a decidere sulla richiesta di confisca di beni stimati in 7,7 milioni di euro, che la Dda ritiene riconducibile alla famiglia egemone nel Catanese.

Tra i “proposti”, a seguito di un’inchiesta condotta dai carabinieri del Ros, c’è anche il superboss. L’anziano padrino segue il processo in videoconferenza. E questo anche se i beni oggetto della richiesta di confisca riguardano terze persone e non lui. Per gli inquirenti tuttavia immobili e quote societarie sarebbero riconducibili alla sua potente cosca. Per lui è stata chiesta pure una misura di prevenzione personale.

Santapaola è difeso dall’avvocato Carmelo Calì. E ha scelto di non farsi interrogare. Dopo la requisitoria del pubblico ministero, quasi certamente, si rinvierà a dopo l’estate. Tra settembre e ottobre, in sostanza, potrebbero svolgersi le udienze con le arringhe dei difensori e si potrebbe giungere al verdetto.

Il processo Sangue blu: si torna in aula il 15 giugno

È uno dei giudizi più attesi di queste settimane a Catania. Alla sbarra c’è colui che, secondo i carabinieri, la Dda e i collaboratori di giustizia, avrebbe preso lo scettro di capo provinciale di Cosa Nostra. Francesco “Ciccio” Napoli avrebbe preso le redini del clan Santapaola Ercolano in provincia di Catania.

Riprenderà il 15 giugno dunque il processo “Sangue blu”, con 21 imputati e per cui i pm Lina Trovato e Rocco Liguori hanno chiesto 130 anni di reclusione. Per Napoli il clan aveva usato un’etichetta piuttosto recente ma in voga, quella dell’uomo d’onore “riservato”. L’obiettivo sarebbe evitare, o quantomeno provarci, di finire al centro del mirino delle forze dell’ordine.

Ma si direbbe che non ha funzionato, tant’è che per lui, che è difeso dagli avvocati Giuseppe Marletta e Salvo Pace, sono stati chiesti 15 anni. Napoli è il nipote di Salvatore Ferrera detto “Cavadduzzo” e membro della storica dinastia di Cosa Nostra catanese, imparentato con la stessa famiglia Santapaola. Un pezzo da novanta, secondo i pentiti, che gli attribuiscono una nobiltà mafiosa in salsa catanese. Un uomo dal “sangue blu”, che starebbe alla mafia come i gentiluomini dell’aristocrazia di un tempo stavano alla nobiltà.

I “capi” di Randazzo: il processo a Turi Sangani e i suoi

Entrerà nel vivo il mese prossimo il giudizio ordinario a carico di 21 tra presunti componenti e “avvicinati” del gruppo Sangani di Randazzo, una cellula di paese del più potente clan Laudani. Comandati dal presunto boss Turi Sangani, sono stati rinviati a giudizio dal Gup Stefano Montoneri, al termine di un’inchiesta della Dda di Catania, condotta dai carabinieri, che portò alla cosiddetta operazione Terra Bruciata.

Tra gli imputati c’è pure lui, il “boss”, assieme ai due figli Francesco e Michael, e assieme al nipote Samuele Portale, che tuttavia ha scelto di essere processato con rito abbreviato. Sangani avrebbe portato avanti le attività mafiose in città. Mafia e pizzo i settori prediletti dal clan, collegato direttamente con Catania e con i cosiddetti “mussi i ficurinia”, i Laudani, a loro volta un microcosmo della potente galassia dei Santapaola Ercolano.

Quel processo ai “Tuppi” di Misterbianco: in aula a luglio per le questioni delle difese

Una questione preliminare potrebbe far annullare l’intera sentenza di primo grado, dunque le condanne del processo agli eredi mafiosi di Mario “u Tuppu”, al secolo Mario Nicotra, un bossrimasto vittima nel 1989 della faida che ha contrapposto la sua famiglia con quella di Giuseppe Pulvirenti, detto “u malpassotu”.

L’hanno presentata gli avvocati di Antonio Nicotra, figlio di Mario, i penalisti Mario Brancato e Giuseppe Grasso, che chiedono alla Corte d’appello la nullità del processo di primo grado. Secondo i difensori, il collegio sarebbe stato composto anche da un giudice non togato. Il 5 luglio la Corte – che è presieduta da Riccardo Pivetti, consiglieri Giancarlo Cascino e Floriana Gallucci – scioglierà la riserva.

Sotto processo sono i capi e i presunti soldati – o anche solo, a vario titolo, ‘amici degli amici’ o ‘avvicinati’ – del clan Nicotra. La sentenza di primo grado era stata emessa un anno fa dalla quarta sezione penale del Tribunale di Catania, presieduta dal giudice Paolo Corda.

Tra i condannati alla sbarra c’è pure il presunto boss Gaetano Nicotra, oggi settantaduenne, difeso dagli avvocati Salvatore Vitale e Vittorio Basile, ritenuto colui che avrebbe ottenuto il rientro in paese degli esponenti del clan dopo la faida con il “malpassotu”, grazie a un accordo con i Mazzei, uno dei gruppi più fidati dei capi della mafia catanese. Nicotra ha preso in primo grado 20 anni.

Vi è poi come detto Antonio Nicotra detto “Tony”, cinquantaseienne figlio di Mario, ritenuto una sorta di braccio operativo del clan, che ha preso in primo grado 22 anni. E Nino Rivilli, cinquantunenne, difeso dall’avvocato Francesco Antille, ritenuto un elemento di spicco del clan, che prese in primo grado 26 anni. Sono loro tre i nomi più importanti emersi dall’operazione “Gisella”, con cui fu letteralmente decapitato il clan.

La lupara bianca nella duna di Vaccarizzo, in aula il 30 giugno

Riprenderà il 30 giugno in Corte d’assise il processo ai presunti responsabili dell’omicidio di Vincenzo Timonieri, il ventiseienne di San Cristoforo ammazzato a febbraio 2021 e il cui cadavere fu seppellito in una duna di Vaccarizzo. Per l’accusa, fu ucciso perché voleva tradire i Nizza e mettersi a spacciare per conto proprio. A fine giugno è in programma l’esame dei due principali imputati, i presunti mandanti, ovvero due giovani capi di Cosa Nostra.

Sono Natale Nizza, figlio di Giovanni ‘banana’, potentissimo a San Cristoforo, e Sam Privitera, uno che il clan dei Nizza avrebbe incaricato di gestire gli “affari” a Librino. A chiedere l’esame sono stati i difensori. Nizza è difeso dagli avvocati Marco Tringali e Salvatore Pace, Privitera dagli avvocati Andrea Gianninò e Salvatore Catania Milluzzo. Legali che hanno confermato la decisione al termine dell’udienza di oggi.

Gli altri due sono i sicari, i killer pentiti rei confessi, Michael e Ninni Sanfilippo, che ovviamente sono i principali testi dell’accusa. Per l’accusa, Timonieri sarebbe stato ucciso per punirne la scelta di tradire il gruppo dei Nizza e voler provare a creare un giro autonomo.


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