CATANIA – Il gup di Caltanissetta David Salvucci ha condannato a 17 anni 2 mesi il presunto referente a Regalbuto, in terra ennese, del clan Santapaola-Ercolano di Catania. È Antonio Arcodia Pignarello, pregiudicato 46enne con già al suo attivo una condanna per mafia al processo Go Kart, detto Toni. Condannato assieme a lui il cugino Francesco, a cui sono stati inflitti 5 anni.
La sentenza è stata emessa dal giudice per l’udienza preliminare. Condannato a 4 anni e 4 mesi Giuseppe Cantarero, accusato di concorso in estorsione, con Toni Arcodia. Per l’accusa, Cantarero, che avrebbe occupato una casa venduta all’asta, avrebbe preteso dall’acquirente (che aveva comprato all’asta, non da lui) il pagamento di 3 mila euro per lasciare libera la casa. E lo avrebbe fatto mentre Arcodia Pignarello era sorvegliato speciale, favorendo Cosa Nostra.
I Santapaola-Ercolano a Regalbuto
Il giudice ha poi inflitto 4 anni a Giuseppe e Angelo Rundo, ritenuti colpevoli del reato di concorso in rapina, aggravata dall’aver favorito Cosa Nostra. Tra le sanzioni accessorie, c’è l’interdizione in perpetuo dai pubblici uffici per entrambi gli Arcodia Pignarello.
Regalbuto è uno dei centri dell’ennese in cui maggiormente è stato forte, negli ultimi quindici anni, il potere dei Santapaola-Ercolano. In passato qui comandava il clan di Enna, ma col passare del tempo gli eredi mafiosi di Gaetano Leonardo “detto Tano u liuni” sono caduti in disgrazia e ormai non contano più niente. In questo modo i Santapaola sono diventati i nuovi padroni anche degli altri gruppi mafiosi. E il referente sarebbe stato proprio Toni Arcodia Pignarello.
Il kalashnikov nel magazzino di un bar
Tra le accuse a carico del presunto capo, in concorso con il cugino Francesco, c’è la detenzione illegale di un kalashnikov e altre armi all’interno di un magazzino a disposizione di un bar di Regalbuto. La ricostruzione dell’accusa, in pratica, è in scia con la tesi già affermata in altri processi.
I Santapaola hanno trasformato i “ragazzi” dell’Ennese in proprie emanazioni. In una sintesi estrema Enna può essere definitiva, in pratica, una colonia, una diramazione, neppure particolarmente importante, di Cosa Nostra catanese. I capi provinciali, da una decina d’anni a questa parte, sono decisi direttamente a Catania.
E lo stesso vale per i piccoli referenti di paese. L’accusa è stata sostenuta dal procuratore aggiunto di Caltanissetta Roberto Condorelli. Si chiude così in primo grado il processo “Lua Mater”, dall’omonima operazione condotta lo scorso settembre dalla squadra mobile di Enna e dal commissariato di Leonforte. Gli imputati sono difesi tutti dall’avvocato Vito Felici. I Rundo sono difesi dall’avvocato Sinuhe Curcuraci.
Il declino del gruppo di Enna
Tra il 2023 e il 2024, in pratica, il vecchio picciotto diventato boss di Enna, Giancarlo Amaradio, discepolo di Leonardo, avrebbe fatto sapere a tutti i ‘ragazzi’ a disposizione del clan ennese (e Regalbuto fa storicamente parte del gruppo dei Leonardo, così come Catenanuova), di stare fermi e di non muoversi, anzi di stare attenti ai movimenti delle forze dell’ordine.
È questo il periodo a cui risalgono le indagini della polizia. Amaradio, dopo aver finito di scontare la sua ultima condanna, quella del processo Green Line, avrebbe invitato tutti, secondo quanto è emerso dalle intercettazioni, alla prudenza.

