Sarai giornalista in eterno - Live Sicilia

Sarai giornalista in eterno

Perché scriviamo? Noi scriviamo per sentirci immortali. Vale per coloro che lasciano uno schizzo blando, da lista della spesa, su un pizzino di carta. Se abbandoni una parola nel mondo, prima o poi lei verrà a riprenderti. Nessuno può morire se ha scritto un nome di cosa, di persona, di animale, un aggettivo, un accento. Vale pure per chi disegna faccine buffe mentre telefona? Chissà. Una parola è un faro pulsante e luminoso nella nebbia. Ecco perché si scrive. Mica per segnare il cammino con una traccia (come si fa a inscrivere un solco nell’acqua del mare?). Si scrive per mettere il cappello su uno scoglio. Per credere che resterà lì ad aspettarti, altero e umidiccio. E che tornerai a prenderlo con qualunque vento.

Vale per tutti, forse. Vale per i giornalisti che, ogni ora, raccolgono prove tremende della loro faticosa immortalità. Gli altri muoiono. Tu racconti. Ti occupi del rito straziante della notizia. Di sapere tutto di attitudini, storie, frasi celebri, sguardi riepilogativi, quando c’è di mezzo la nera. Oppure veleggi con la bonaccia, nelle acque leggere dell’esistenza quotidiana. La pazzia di cui ti convinci non muta segno. Loro sono lì a respirare, a correre. Sono i protagonisti del libro, del mosaico che componi.

E ti senti talvolta su un altopiano da cui scruti vicende umanissime. Oppure sei immerso nella tempesta. Avverti ogni palpitazione delle persone che ti passano accanto. E alcuni dolori di madri e di padri diventano il tuo dolore. Né sai perché ciò accada. Il cuore ti si raddoppia. Torni a casa la sera sfinito, con due battiti contemporanei da tenere a bada. Ti siedi in poltrona, guardi la tv. Cerchi la partita del Barcellona, l’anestetico più potente che ci sia.  E il padre o la madre che hai visto davanti al corpo del figlio, continuano a piangere nel sorriso di Messi che ha appena fatto gol.

E quando un giornalista muore, come è accaduto a Giovanni Rizzuto appena qualche giorno fa, non pensi che sia morto davvero. Pensi che sia con le sue parole, vecchie o nuove, non importa dove o come, a metterle insieme. E pensi che sparirà davvero solo quando avrà completato il puzzle di pezzi infiniti. Quando avrà fatto pace con tutti gli occhi che gli sono passati accanto, come la morte.
E’ la nostra illusione, la nostra magia, la nostra condanna: per una ipotesi di vita eterna, diamo in cambio al destino col biglietto da visita di Dio tutta la vita vera.

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