Schifani, colomba lealista |cerca di evitare la scissione - Live Sicilia

Schifani, colomba lealista |cerca di evitare la scissione

Renato Schifani

L'ex presidente del Senato ha detto a Berlusconi che era pronto a votare la sfiducia ma poi si sarebbe dimesso. E adesso tenta di ricucire per scongiurare la scissione e non staccare la nuova Forza Italia dal governo. Il legame con Alfano non si è spezzato

La crisi nel Pdl
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PALERMO – La tragedia di Lampedusa ha imposto una tregua forzata alla disfida interna al Pdl. Angelino Alfano è volato nell’isola e per un giorno, almeno, di falchi e colombe non s’è più parlato. La partita tra i berluscones resta aperta. E i tentativi di scongiurare una scissione, ormai nei fatti proseguono. A lavorare di mastice per ricomporre la frattura più degli altri è in queste ore Renato Schifani. Nel corso della drammatica seduta di Palazzo Madama, sembrava che le strade dell’ex presidente del Senato e di Angelino Alfano, fin qui un tandem inossidabile, fossero destinate a dividersi. Non è esattamente così. Schifani lavora in realtà nella stessa direzione del vicepremier, ma ha scelto di farlo in altro modo, mantenendo fino all’ultimo la lealtà a Silvio Berlusconi.

Doveva essere proprio Schifani, capogruppo del Pdl a Palazzo Madama, a prendere la parola ieri in Aula per annunciare la sfiducia. Non se l’è sentita. Nelle drammatiche giornate che hanno preceduto il voto del Senato, il politico palermitano s’era sbracciato senza sosta per convincere Berlusconi a trovare una mediazione che non spaccasse il partito e consegnasse la Forza Italia di domani ai falchi Santanchè e Verdini. Quando tutto è precipitato, Schifani ha detto a Berlusconi che non avrebbe svolto lui l’intervento in Aula. E che avrebbe sì votato la sfiducia, per lealtà al Cavaliere, ma un minuto dopo si sarebbe dimesso da capogruppo. A quel punto, raccontano i retroscenisti, Berlusconi avrebbe vacillato. L’abbandono di Schifani avrebbe potuto provocare un altro smottamento nel traballante plotone lealista. Silvio a quel punto ha spiazzato tutti, annunciando il voto di fiducia. Un passaggio che Schifani ha commentato pubblicamente come un “inno all’unità”.

La delicata partita che l’ex presidente del Senato sta giocando, dall’interno, fa sponda a quella del suo compagno di strada Alfano. Ma se quest’ultimo, per conquistare e consolidare una leadership del presente e del futuro ha imboccato la via dura dello strappo, Schifani, che ha aspirazioni diverse per anagrafe e carriera politica, ha cercato, e sta cercando ancora, di ricucire dall’interno. Per consegnare ad Alfano la guida del partito tutto intero, non contro ma con Silvio Berlusconi. Marginalizzando falchi ed estremisti o addirittura spingendoli a togliere il disturbo, per migrare in una formazione più estrema, di destra neoliberista e al momento antigovernativa, sempre con la benedizione di Silvio. Una quadratura del cerchio complicata, visto che dall’altra parte, montiani e Udc attendono a braccia aperte gli scissionisti alfaniani proprio a condizione che si sbarazzino della “zavorra” di falchi ed estremisti. Ma se la missione si rivelerà impossibile, e la Forza Italia di domani diventerà riserva di caccia dell’anima più “dura” dell’attuale Pdl (che in Sicilia ha già visto Gianfranco Miccichè e Stefania Prestigiacomo mettere il cappello sulla nuova Forza Italia di lotta), le strade di Renato e Angelino sembrano destinate e riallacciarsi. Già Francesco Scoma e Pietro Alongi, vicini a Schifani, hanno varcato il Rubicone, pronunciandosi in favore della mossa alfaniana. Simona Vicari, schifaniana di ferro, non ha firmato il documento dei 23 senatori ribelli, ma anche lei pare fosse contraria alla sfiducia. Renato intanto lavora per l’unità. Finché ci sarà il tempo per farlo.


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