"Decreto umiliante": scuola, l'appello dei docenti - Live Sicilia

“Decreto umiliante”: scuola, l’appello dei docenti

La lettera aperta di un gruppo di docenti al Presidente della Repubblica sul decreto legge 36: "Visione distorta della pubblica istruzione"
IL DIBATTITO
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CATANIA – Dimezzare le classi, aumentare le assunzioni e un no a tagli indiscriminati di personale: sono le richieste contenute in una lettera aperta al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella degli insegnanti italiani, lanciata su Change.org per una raccolta firme, che si appellano al capo dello stato per un “autorevole intervento per la tutela del diritto costituzionale allo studio”.

Il testo integrale della lettera

Illustrissimo Presidente della Repubblica Onorevole Sergio Mattarella Con profonda afflizione ma anche con tanta speranza e fiducia nella Sua Persona, noi insegnanti della Scuola Pubblica Le scriviamo questa lettera a pochi giorni dall’approvazione in Senato del DL 36/2022.

Ascoltando il Suo primo discorso a Camere riunite, abbiamo particolarmente apprezzato l’attenzione che ha voluto riservare al diritto allo studio e al futuro dei nostri studenti: “garantire la Costituzione significa garantire il diritto allo studio dei nostri ragazzi in una scuola moderna in ambienti sicuri, garantire il loro diritto al futuro”. Ebbene nulla da eccepire dalle sue parole. Ciò che non si capisce però è perché il diritto allo studio delle future generazioni debba essere confuso con il diritto a mantenere e a finanziare un “carrozzone” che costa alla Nazione intera, di cui Lei è il Presidente della Repubblica, oltre due milioni di euro l’anno.

Tanto infatti si spenderà per la cosiddetta Scuola di Alta Formazione. Questa si occuperà dell’aggiornamento permanente degli insegnanti e sarà finanziata fino a 2026 dal PNRR e dal 2027 con il taglio della carta del docente e soprattutto con il taglio di 11.600 posti dell’organico dell’autonomia. Verranno tagliati dei posti di lavoro per avere insegnanti “formati” a lavorare in classi pollaio, perché di questo si tratta e intanto il Presidente della suddetta Scuola percepirà, numeri alla mano, ben 246.846 euro l’anno, al pari del Direttore Generale, che a sua volta sarà affiancato da un dirigente cosiddetto di seconda fascia alla modica cifra di 151.165 euro l’anno. E non è finita, perché poi ci saranno funzionari a cui andranno 542.522 euro annui e altre cinque persone di cui due nominati dal Ministro Istruzione che tra rimborsi e spese costeranno a noi oltre 800.000 euro annui. Tutti questi soldi per mantenere quello che abbiamo sopra nominato ‘carrozzone’, soldi che servono solo per decidere quali corsi far seguire ai docenti e per scegliere gli Enti a cui affidare la formazione che quindi dovrà essere pagata con altri fondi, ancora più corposi.

Non si fa così il bene degli studenti perché continueranno ad aumentare, con questi tagli, le classi numerose fatte di 25/30 alunni in cui risulta difficile fare bene il lavoro di insegnante. Anzi, invece di diminuire la quantità di studenti in ogni aula e garantire a tutti un’istruzione migliore, si conta sulla denatalità e sulla media nazionale di ragazzi per classe allo scopo di giustificare questo taglio di 11.600 posti di lavoro.

Ma questo è una concezione alterata della realtà, dettata da un errore alquanto grossolano in quanto il numero di alunni per classe non è fatto solo di studenti italiani, ma anche di ragazzini stranieri e/o extracomunitari (ormai quasi il 5-10% per classe). Allo stesso modo sarebbe errato rifarsi alla media nazionale di componenti per classe quando il 52% degli 8.101 Comuni italiani appartiene a Comunità montane, dove la quantità di alunni quasi sempre non arriva a traguardare le dieci unità.

Signor Presidente è davvero incredibile dover assistere a questa visione totalmente distorta della Pubblica Istruzione, all’interno della quale per il nostro ministro il problema è da imputare ai docenti e alla loro formazione. E’ davvero assurdo che si debba giustificare l’arricchimento degli Enti di formazione e dei loro direttivi con la scusa della formazione di docenti che dopo la laurea, i 24 CFU, il TFA alla modica cifra di 4000 euro, il concorso a crocette con domande ministeriali riportanti errori da matita blu, la prova pratica, quella scritta, di informatica, di inglese e l’orale non risultino ancora formati.

Con i fondi in arrivo dal Pnrr, l’amministrazione scolastica avrebbe dovuto avere solo una priorità: dimezzare il numero di alunni per classe, incrementare il personale, perché occorre aumentare il numero di cattedre, non certo ridurlo, come invece si vuole fare e restituire un po’ di dignità a tutti quei docenti italiani che percepiscono gli stipendi più bassi dell’intera Comunità Europea.

Questo DL 36, inoltre, incentiva ancor di più la già inspiegabile disunione tra docenti con un aumento “una tantum”, introducendo nella scuola una politica aziendalista-selettiva, in contrapposizione con il vero ruolo pubblico dell’istituzione scuola. La riforma addirittura “premia” chi non partecipa alla mobilità, andando a ledere il diritto alla famiglia. Inoltre, il decreto non considera i precari, mettendo anche loro in concorrenza con i nuovi docenti, eludendo ancora una volta le richieste della Commissione europea di lotta all’abuso di precariato.

E quindi, anziché discutere in Parlamento di contratto nazionale che è scaduto da ben 40 mesi (e con esso il nuovo sarebbe già vecchio perché anche quello sarebbe già scaduto da 4 mesi); di recuperare 8 punti di inflazione; di introdurre l’indennità di rischio biologico che non è mai stata neanche presa in considerazione; di raddrizzare gli stipendi più bassi di tutta Europa; del diritto al sacrosanto recupero del potere d’acquisto per tutti ed ad un cambio di rotta che porti si ad aumenti economicamente sostenibili, ma anche e soprattutto socialmente accettabili; di buoni pasto per i lavoratori della scuola che oggi ormai vedono i propri cari a tavola solo una, due volte la settimana;

si parla invece sempre e solo di tagli perché di questo si tratta, perché celato sotto il nome di decreto 36 c’è in verità un decreto umiliante, perché porta ad un subdolo aumento dell’effettivo impegno lavorativo, senza che a questo corrisponda una retribuzione extra.

Questo appello a un Suo autorevole intervento per la tutela del diritto costituzionale allo studio e al lavoro e per la difesa degli articoli 21 e 33 della nostra Costituzione, è espressione del grande disagio che attraversa l’intera comunità dei docenti italiani e della generazione di giovani che sono il futuro della nostra Repubblica.

Certi della Sua attenzione, Le porgiamo cordiali saluti.


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