CATANIA – Si torna in aula il 17 settembre. Sebastiano Scuto affronterà una nuova udienza di un processo “entrato ormai nella storia” per diversi fattori. Per le accuse secondo il pg Gaetano Siscaro, per le ore di istruttoria a detta dei difensori dell’ex re della grande distribuzione della Sicilia Orientale. Il fondatore del colosso Aligrup entro l’autunno conoscerà il verdetto della seconda sezione della Corte d’Appello di Catania chiamata a decidere sul procedimento dopo l’annullamento con rinvio della sentenza di condanna a 12 anni per mafia di secondo grado. La Suprema Corte non ritiene adeguate le motivazioni dei giudici in merito alla presunta espansione degli affari di Scuto a Palermo con il “placet” di Provenzano e dei Lo Piccolo. Il cosiddetto “grande progetto” avvenuto a partire dal 2006.
Gli Ermellini hanno anche annullato il provvedimento di confisca del patrimonio dell’imprenditore puntese, perchè i giudici d’appello secondo la Cassazione devono “motivare” quali sono i beni che sarebbero stati finanziati dai proventi illeciti dei Laudani. Un elenco preciso insomma, che “l’accusa – secondo l’avvocato Giovanni Grasso – non ha saputo portare nonostante le richieste delle Suprema Corte”. E questa identificazione bene per bene della “provenienza illecita” è sollecitata perchè Scuto entra nell’organico della cosca solo in un secondo momento (elemento evideziato anche nella sentenza di primo grado), e soprattutto dopo un periodo in cui è stato vittima di estorsione del clan.
E su questo punto entra “la permanenza” di Scuto nei Laudani, la Cassazione chiede un’attenta valutazione al periodo di contestazione. Siscaro porta “la cessazione del rapporto al 2010”, ma nella sua arringa l’avvocato Giovanni Grasso mette una data precisa: il 1998, quando Scuto denuncia i Laudani per estorsione. Una prova – per la difesa – della “rottura” con quel meccanismo: l’imprenditore si rivolge allo Stato e denuncia i suoi aguzzini.
E’ un processo articolato, delicato e complesso per l’ingente apparato probatorio portato dalle parti, composto da indagini tecnico contabili, perizie, analisi finanziarie e dichiarazioni di collaboratori di giustizia. Per il pg Gaetano Siscaro, che ha chiesto la conferma della sentenza di secondo grado e la confisca del tesoro di Scuto e dei suoi familiari, non ci sono dubbi l’imprenditore da estorto è diventato organico della famiglia mafiosa dei Laudani e ne ha assunto un ruolo strategico di polmone economico e finanziario del clan. “Ventitré anni di rapporto ininterrotto con il clan” – afferma il pg nella requisitoria. Siscaro cita gli “incontri di Scuto con esponenti politici, di candidature a sindaco di San Giovanni la Punta, di proposte di candidatura di Assessore, di proposte di candidatura per le regionali. Qui – secondo il Pg – siamo in pieno metodo mafioso”. Ma il magistrato parla anche dei tentativi di corruzione della pubblica accusa e cita due casi ben precisi: “nel 2001, 2002 dà incarico a Sturiale di farsi portare da Aldo Ercolano per mettere in atto un tentativo di corruzione verso il Procuratore Generale con l’offerta di 5 miliardi di lire”.
Ma per Siscaro è singolare l’invio, l’anno dopo, degli auguri di Pasqua a casa del pg, non in un ufficio ma all’indirizzo privato. Per Siscaro è un comportamento “improprio, perché non ha nessun titolo per scrivere a chi svolge un ruolo ufficiale. Io non posso vedere altro in quella lettera: – rincara il pg – metodo dell’intimidazione”. E su questa lettera l’imputato chiede di rilasciare delle dichiarazioni spontanee: “Solo un atto di cortesia”. Nessuna macchinazione o tentativo di intimidazione, anche perché le conoscenze personali avevano permesso a Scuto di conoscere l’indirizzo personale del Pg. Anche la difesa si sofferma sulla questione sollevata da Siscaro, ridimensionando il fatto che può essere magari ritenuto “non opportuno”, ma non oltre.
Siscaro porta i numeri dell’espansione di questo impero, del “volo” – così lo definisce un pentito – che porta uno sviluppo esponenziale del fatturato soprattutto dal 1988 al 1992, che – come evidenzia il Pg – coincidono con gli anni in cui Laudani e Sturiale collocano “l’immissione di massicci capitali del clan”.
“Non per nulla Messina Matteo Denaro a Palermo ha fatto esattamente quello che il clan Laudani e Scuto hanno fatto a Catania” – è la correlazione del pg. Un chiacchiericcio secondo la difesa quello che fanno i collaboranti che non riescono a portare prove concrete: e quando dichiarano, inoltre, è de relato, cioè appreso da altri. Insomma rivelazioni totalmente inaffidabili.
L’approdo di Scuto nel mercato avviene nel 1977 con la Scuto Sebastiano Spa: in quel momento per il Pg l’imprenditore non è ancora organico, la parabola nasce in seguito e si è compiuta totalmente quanto nasce Aligrup nel 1987. E in quella fase c’è un’operazione di 22 miliardi per spostare i pacchetti azionari. Un movimento finanziario sospetto, ma per la difesa, rappresentata da Giovanni Grasso e Guido Ziccone, che porta le valutazioni di consulenti e degli stessi investigatori contabili tutto è avvenuto in maniera “lecita”.
L’indice del Pg poi si sposta sulla manovra societaria “ideata” a Lussemburgo e della creazione della societé anonyme che doveva controllare il 75% delle azioni Aligrup che potevano essere intestati a chiunque (ignoti). Ma su questo punto l’avvocato Grasso interviene duramente e parla di “foschi scenari” del pg solo perché spa in linguaggio giuridico lussemburghese si dice Societé Anonime e spiega che l’operazione era stata suggerita dalla San Paolo Bank e che comunque “non si era mai arrivato a un’emissione delle azioni” perché in quel periodo arriva il provvedimento di sequestro.
La Corte di Cassazione – e questo lo sottolineano più volte nella loro arringa i due difensori – parla del gruppo Scuto non di una impresa mafiosa in senso tecnico. E su questo punto Siscaro assente (anche se in parte) perché quella dell’imputato è un’impresa che “nasce pulita senza l’aiuto del clan ma la creazione” di Aligrup, una società parallela con lo stesso oggetto societario, per Siscaro è un “duplicato che non ha senso”. Un’incorporazione assolutamente “legittima”, invece, per i difensori.
L’espansione a Palermo: la Cassazione ha ritenuto non adeguatamente motivate le ragioni che hanno portato alla condanna su questa imputazione. Siscaro affronta un dato oggettivo: “Immaginate l’apertura a Palermo dei punti vendita di Scuto – dice rivolgendosi alla Corte – Quale altra impresa che non si appoggi a un clan mafioso può aprire quei punti vendita con la facilità con cui lo ha fatto Scuto a Palermo senza pagare il pizzo?”.
I punti vendita nella Sicilia Occidentale iniziano a sorgere nel 2006. “Aligrup era già sottosequestro” – evidenzia in maniera netta Giovanni Grasso nella sua arringa. “Ogni atto, procedimento e decisione doveva essere autorizzata dall’autorità giudiziaria” argomenta la difesa, portando ad esempio il caso di un affitto di un magazzino su cui (incalza Grasso) sono state fatte indagini da parte della Finanza su delega dello stesso procuratore generale. Sono molti gli elementi portati dagli avvocati davanti alla Corte atti a confutare l’espansione di Scuto e di conseguenza dei Laudani a Palermo, ma uno tra tutti è quel pizzino in cui Provenzano afferma in modo netto di non avere ‘agganci con Catania’. E se non bastasse ci sono le dichiarazioni di Giuseppe Laudani che smentisce qualsiasi legame dei Mussi i Ficurinia con Cosa nostra palermitana: “Noi siamo i Laudani e basta”.
La difesa al Presidente Dorotea Quartararo (Maggiore e Pulvirenti giudici a latere) della Corte D’Appello chiede l’assoluzione di Scuto per “l’espansione palermitana” e la conferma delle attenuanti generiche come riconosciuto dai giudici di primo grado che lo condannarono a 4 anni. E che venga inoltre respinta la richiesta dell’accusa alla confisca del patrimonio.