(rp) Noi l’abbiamo scritta nel sommario quella paroletta, come un semplice elemento di cronaca, tentando di peccare il meno possibile, forse sbagliando. Abbiamo scritto sommessamente, senza gridare e senza enfasi, che si segue la pista passionale a sfondo omosessuale nel delittaccio di Termini. Altri quella parola online (e chissà come saranno oggi i giornali) l’hanno urlata: barista gay ucciso a Termini. Ecco. Così il lettore opera una selezione inconscia. Dimentica “barista”, dimentica “ucciso”, si concentra sul “gay”. E si sa che quando il sangue è gay i fatti di cronaca nera sono più gustosi, i giornali si vendono di più.
Ora, non sappiamo quasi nulla dell’omicidio di Termini, ogni illazione o anticipazione sessuale potrebbe essere smentita e irrisa. Tuttavia, il meccanismo del linguaggio che si è messo in moto come un argano inesorabile svela ancora una volta la morale della favola.
Un cadavere è un cadavere, un morto ammazzato è una vittima per cui si può provare in lontananza compassione. Però se è gay, il lettore benpensante scavalca corpo, sangue e pietà. Immagina tutto un osceno e godibilissimo sommovimento erotico-tellurico, tra “Il vizietto” e le pratiche fetish, dietro le pistolettate. Ha la conferma di un torbidume omosex che ha imparato a “riconoscere” nelle omelie dell’intolleranza. Mai al lettore medio verrebbe in mente che un gay assassinato è solo una vittima proprio come un etero. Sotto sotto se la sarà cercata, no? Infatti i giornali nei titoli sparano: “Barista gay”, un’altra pistolettata. E non c’è niente da fare. La comprensione della reciproca diversità – che poi è la regola di una vita sana – resterà polverosa materia didattica per i convegni e poco altro, finchè rimarranno le incrostazioni nelle parole, finché i gay saranno gay nei documenti ufficiali e “froci” nelle barzellette che ogni intellettuale sa bonariamente raccontare a tavola, dopo le tavole rotonde sull’integrazione. Nanni Moretti aveva ragione a prendere a schiaffi l’improvvida giornalista di “Palombella rossa” con le sue domande banali. E faceva bene a strillarlo: le parole sono importantiiiii…
Partecipa al dibattito: commenta questo articolo