PALERMO – Correva l’anno 2013, era il mese d’aprile, e Gianpiero D’Alia criticava in un’intervista a Livesicilia Rosario Crocetta per “il suo via libera a Cardinale e Lumia all’operazione fatta in precedenza da Lombardo, cioè quella di organizzare… i mercenari, mi dispiace ma non mi viene un’altra parola, in gruppo parlamentare”. Il leader dell’Udc parlava di “metodi di reclutamento da legione straniera” e ragionava su come, con questo schema la “maggioranza” non sarebbe andata da nessuna parte. Due anni e tre mesi sono passati da allora, niente o quasi nella così detta maggioranza di governo è cambiato, e l’Udc ancora lì sta, così come il presidente della Regione.
Perché il pantano in cui si sono invischiate le istituzioni regionali è certo figlio dei tanti errori di un governatore che si è palesato inadeguato in ogni circostanza cruciale, del suo partito che non è riuscito – anche per via del suo dilaniarsi in correnti – a imprimere una direzione all’attività di governo, ma certo, anche se il tema passa spesso in secondo piano, è figlio anche di una maggioranza, o di ciò che con questo nome impropriamente si chiama in Sicilia. Una coalizione raffazzonata che malgrado distinguo e prese di distanza, ha oggettivamente garantito, e continua a garantire, a Crocetta e ai suoi governi dalle porte scorrevoli i numeri per sopravvivere.
La coalizione di governo nasce dal patto tra Pd e Udc. E anzi, a voler essere precisi, fu proprio il leader dell’Udc Gianpiero D’Alia, nell’estate del 2012 a spiazzare tutti sposando la candidatura di Crocetta, quando ancora il Pd discuteva sul da farsi, mettendo i democratici con le spalle al muro. Da allora, l’Udc ha avuto col governatore un rapporto tormentato, ricco di democristiani distinguo, che però non hanno messo in discussione fin qui la permanenza al governo dei centristi. Defilati e sempre un po’ lontani dalle bufere mediatiche in cui gli alleati democrat si cacciavano, gli uomini dell’Udc hanno gestito assessorati chiave con alterne fortune, perdendo qualche pezzo per strada (vedi tra l’altro le dimissioni lampo della Castronovo e di Leotta) e arrivando in quest’ultimo folle scorcio a piazzare in giunta persino il loro segretario regionale Giovanni Pistorio, su cui Crocetta aveva sparato ad alzo zero per mesi.
In questi quasi tre anni l’Udc ha trovato parecchio da ridire sull’andazzo politico del governo, a cominciare dalle porte spalancate ai transfughi proseguendo con lo stallo dell’azione politica. Nessuno di questi problemi è stato sufficiente, però, a convincere i centristi a dare il benservito al governatore, come invece D’Alia e i suoi fecero con Lombardo nella precedente legislatura. D’altro canto, le prospettive fin qui incerte del progetto di Area popolare, una complicata fusione a freddo tra Udc e alfaniani, non incoraggiano certo a salti nel buio elettorali.
Accanto al Pd e all’Udc da principio c’era solo il Megafono. Ossia quello che nei piani di Crocetta e Beppe Lumia poteva diventare un altro partito personale, un progetto che ha fatto litigare per un anno il presidente e il Pd e che alla fine si è sgonfiato da solo, assumendo un profilo di assoluta marginalità. E c’è poi il soccorso bianco organizzato dall’esperto tessitore di accordi politici Salvatore Cardinale che ha messo su il suo Pdr, costola centrista del Pd, fabbrichetta del consenso in cui hanno trovato posto una sfilza di deputati eletti in altri schieramenti. Fedelissimi a Crocetta, finché c’è Crocetta. Ma pronti già domani mattina, secondo i rumours di Palazzo, a seguire il colonnello renziano Davide Faraone, che con Cardinale ha un rapporto di ferro, dai tempi del “patto dei ricci” cementato a Mondello un anno fa. Il Pdr per la verità ha vissuto negli ultimi tempi momenti di attrito col Partito democratico per via delle ultime amministrative, dove spesso e volentieri il movimento di Cardinale si è schierato contro i candidati del Pd. Ne sono seguite polemiche al veleno sulla stampa, ma nessuna conseguenza politica nota. La permanenza nel governo dei democratici e riformisti non è in discussione e l’assessore in quota Pdr Maurizio Croce, uno dei migliori tecnici transitati nei claudicanti governi di Crocetta, è incappato di fresco in una gaffe clamorosa, accostando Lucia Borsellino e gli altri assessori fuoriusciti niente meno che a Schettino. Croce, che è un gentiluomo, si è prontamente scusato senza se e senza ma, ma lo scivolone è stato epico.
L’altra anima della maggioranza è quella di Sicilia democratica, altro contenitore di fuoriusciti dai più diversi partiti, battezzato da Lino Leanza, oggi alla ricerca di nuovi equilibri interni dopo la prematura dipartita del suo fondatore. Tanto da dover mandare giù la nomina sostanzialmente imposta da Rosario Crocetta di Rosaria Barresi al posto del dimissionario Nino Caleca. Sia Sicilia democratica che Pdr al momento stanno a guardare lo psicodramma collettivo del Pd, pronti a discutere delle fibrillazioni in qualche altro fruttuoso vertice di coalizione, e ad attrezzarsi a seconda delle decisioni del socio di maggioranza. Sperare che da queste parti possa arrivare l’input per staccare la spina al governo, insomma, è vano.
Cinque gambe non sono bastate fin qui per rendere meno traballante una maggioranza capace di cadere su tutto in Aula. Non c’è passaggio di voto segreto che sia al sicuro, i capitomboli ormai non si contano più (clamoroso quello sulla riforma delle Province) e addirittura in occasione dell’ultima finanziaria è servito il soccorso di altri pezzi di sedicente opposizione per salvarsi in corner.
Eppure, malgrado lo stallo e il fallimento certificato dallo stesso Pd, la coalizione che sostiene Crocetta resta a guardare, aspettando il vincitore del braccio di ferro interno al Partito democratico sulla scadenza della legislatura. Quando bisognerà tornare alle urne con un candidato ancora da inventare e una coalizione da costruire. Cercando disperatamente di far dimenticare ai siciliani gli ultimi tre anni.