PALERMO- La notizia, tra le paure e i desideri di un anno difficile, è passata sotto silenzio, ma, forse, sarebbe accaduto lo stesso in tempi più normali. Eppure, l’agenzia Ansa l’ha diligentemente riportata giovedì scorso.
Suicidi dietro le sbarre
Eccola: “Roberto Faraci, detenuto di 45 anni, ieri si è tolto la vita impiccandosi con le lenzuola nella cella del carcere Lorusso di Pagliarelli di Palermo. Faraci era stato arrestato per maltrattamenti in famiglia. L’uomo ha approfittato dell’assenza del compagno di cella per togliersi la vita. Le guardie penitenziarie sono intervenute insieme ai medici, ma non c’è stato alcunché da fare. La Procura ha disposto l’autopsia. E’ il secondo detenuto che si toglie la vita in una settimana: Emanuele Riggio era stato arrestato agli inizi di giugno accusato di stalking e violenze nei confronti della moglie. Anche lui lo scorso 11 agosto si è suicidato, impiccandosi, nella sua cella del carcere Pagliarelli di Palermo”.
Non se n’è accorto quasi nessuno. Pino Apprendi, presidente di ‘Antigone Sicilia’, che da anni si batte affinché i detenuti siano riconosciuti quali esseri umani nei pensieri di tutti, si è ribellato all’ineluttabile. E ha scritto una nota.
“Due suicidi in una settimana al carcere palermitano di Pagliarelli ed uno al carcere di Caltagirone – si legge -. Tre detenuti in attesa di giudizio. Siamo al mare o in vacanze e siamo ‘disturbati’ da queste notizie. A chi può interessare la morte di tre persone che sono finite in galera, ‘se la sono voluta’ è la frase più elegante. Il disagio nelle carceri non é solo ‘un problema loro’, è un problema di tutta la società che ha la responsabilità di tutelare la vita di tutti. I detenuti riconosciuti colpevoli devono scontare la pena in condizioni di vita dignitose. La detenzione non deve trasformarsi in tortura psicologica come in un girone dell’inferno dantesco”.
E ancora: “Detenuti e popolazione carceraria, compresa la Polizia Penitenziaria, fra l’altro, hanno sopportato più degli altri l’isolamento anche dai propri familiari durante il periodo dei divieti per evitare i contagi, ma il COVID19 è entrato in molte carceri mietendo vittime non solo fra i detenuti, ma anche fra la Polizia Penitenziaria e qualche medico. Va istituito il garante comunale in ogni territorio dove esiste un carcere. A Palermo, il Comitato ‘Esistono i Diritti’ con il suo presidente Gaetano D’Amico, già da tempo, lo chiede e in Consiglio Comunale presto ne approverà il regolamento”.
“Un muro di indifferenza”
Pino Apprendi, Gaetano D’Amico, con la sua lunga militanza radicale: sono tra i pochi che si occupano della questione. Gli altri voltano la testa dall’altra parte. Il carcere è considerato un non luogo, dove ci sono non persone. Anche i più illuminati non se ne curano. Con il suo carico di sofferenze, speranze e umanità, è il tappeto che copre la polvere.
Pino, raggiunto al telefono, è stanco. E arrabbiato: “No, questi morti non raggiungono l’attenzione. La società considera il detenuto un morto, anche se è vivo. Ma quanto lavoro si fa per recuperare chi è dentro, con fatica, con impegno. C’è un muro di indifferenza difficile da scalare”.
Il racconto del prof
Eppure, chi ha conosciuto le ombre che abitano nelle celle sa quanto sia preziosa l’esistenza che scorre. Raccontava il professore Giovanni Mancino che ha insegnato nel non luogo: “Cosa mi chiedevano questi alunni così particolari? Di essere i loro occhi. ‘Professò, è estate. Come è Mondello?’. ‘Professò, Ballarò sempre la stessa è? Lì c’è casa mia’. Una volta ho prestato un libro a uno studente. Dopo un mese me l’ha ridato e mi ha mostrato il quadernone dove, capitolo per capitolo, aveva ricopiato tutto”.
Ma questi sono solo i racconti di una minoranza di anime sensibili. E’ estate, dopotutto. In carcere si continua a morire, talvolta, anche se sei vivo.