L’esecuzione mediatica del presidente del Senato Pietro Grasso termina alle 22.13, ora di ‘Servizio pubblico’. Con l’ultimo sorrisetto diabolico-acuminato Marco Travaglio lo invita al confronto in campo neutro: “Magari dalla Parodi”. Una richiesta che non sarà esaudita. Piatto forte della trasmissione, dunque, la contesa sotto traccia che non annoia gli italiani tra il giornalista che nessuno vorrebbe avere come avversario perché – diffamatore o no – è una delle penne più brillanti e graffianti e l’ex magistrato che ha costruito la sua immagine sulla morbidezza, sul confronto, sui toni soffici. Ovviamente per Travaglio, la leggerezza del suddetto è una mistificazione, il trucco di scena di un “pubblico mentitore”: così è stato scritto sul ‘Fatto’.
Antipastino freddo con Michele Santoro che s’accora. Egli tentò di contattare Grasso e non fu possibile. Tutto è cambiato per l’ex procuratore di Palermo. Il consenso totale di quei tempi in trincea si è trasformato in un coro di favore che vede, tuttavia, affiorare qualche crepa nelle certezze del telespettatore. Tutto cambia, sì. E scorre. Lo chiamavano Piero, in tribunale, sui campi di calcio e calcetto percorsi con grinta. Ora lo chiamano Pietro, che poi sarebbe il suo nome. Ha un suono più istituzionale.
Dopo i sottaceti di Santoro, una minestrina vegetale. Il governo. Bersani (“siamo persone serie. Seeerie”). Nunzia Di Girolamo. Massimo Cacciari con la barba da protomartire della filosofia. Vittorio Sgarbi, perfino, che appare assai più calmo del solito. Giusto qualche “capre, capre”, per onore di firma. Aspettiamo lui, il vate riccioluto. Per adorazione o per rancore, l’attesa è febbrile. Abbiamo rinunciato a ogni altra sicurezza televisiva. C’era “The Departed” su Italia Uno, con Jack Nicholson. Vogliamo lui. E lui, Marco, non si smentisce. Le prospettive sono costruite bene, per dare proprio l’angolazione giusta della crocifissione. E peccato che sia solo giovedì santo. Grasso in effigie, posizionato lassù, in un metafisico Golgota. Travaglio giù, con la protervia – santa o abominevole, dipende dai punti di vista – di chi affonda la lancia nel costato.
La batteria di accuse ai danni del Presidente del Senato è nota. E’ stata sciorinata con i suoi pezzi pregiati. Masticata, rimasticata e digerita. E’ apparsa anche sul ‘Fatto’, col titolo “Lunedì Grasso”. In sintesi. Grasso non ha vistato l’appello per Andreotti per isolare Caselli. Quando dice che ciò avrebbe ostacolato il suo ruolo di testimone mente. L’espediente gli è stato suggerito a posteriori. Grasso è stato lodato da Berlusconi, Dell’Utri e Jannuzzi (quello che scrisse che con Falcone e De Gennaro sarebbe stato il caso di sorvegliare il passaporto, ndr). Grasso ha premiato il governo di Silvio. Grasso è ossequioso con la politica. Ha fregato Cuffaro, sì, ma perché l’ex governatore gli è “capitato tra i piedi”. Grasso non si sporca la maglietta, come sosteneva Dell’Utri, allenatore e casualmente condannato. Grasso ha fregato pure l’odiato Caselli che è stato vittima di provvedimenti ad personam, nella corsa alla poltrona.
Avrebbe potuto sottrarsi, evitare lo scempio. Ed è rimasto zitto e buono “come Scajola quando gli hanno regalato le case senza sapere perché”. Pie(t)ro Grasso, alla resa dei conti, è un furbacchione e un bugiardo. Sintesi della corposa requisitoria travagliesca, inframezzata da sorrisini e inarcamenti di sopracciglia dall’effetto mefistofelico. Alla fine si resta pure un po’ intronati. E si allibisce interiormente quando Sgarbi che propone Riccardo Muti per il Colle ha la parvenza, col suo ciuffo assassino, del più assennato della compagnia. Oddio. Sorrisetto per sorrisetto era meglio il film su Italia Uno. Jack il mefistofelico lo sa fare.