Colpevole a metà. Marcello Dell’Utri è stato condannato in appello a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa ma è stato assolto per tutte le contestazioni che vanno oltre il 1992. “Il fatto non sussiste” ha dichiarato la corte leggendo il dispositivo di sentenza. Un verdetto che spazza via tutte le ombre proiettate sulla nascita di Forza Italia e sul contributo che Cosa nostra avrebbe dato alla formazione del partito del premier, Silvio Berlusconi.
Sin dalle prime ore del mattino l’aula bunker del carcere Pagliarelli di Palermo è gremita di giornalisti provenienti da tutta Italia. L’aria è elettrica, tutti attendono e si sprecano i pronostici. “E’ un 1-x-2” dice uno dei legali del senatore. Alle 10 suona la campanella, entra la corte. Dichiara il “non doversi procedere” per Gaetano Cinà, causa morte del reo. Poi continua la lettura e il presidente Claudio Dall’Acqua scandisce la parola “assolto” leggendo il verdetto di Dell’Utri. Poi continua “per i reati contestati in epoca successiva al 1992”. Per il resto la corte “riduce la pena ad anni sette” e conferma il resto della sentenza di primo grado. Al Comune e alla Provincia di Palermo, costituitisi parte civile, il giudice riconosce il risarcimento di 7 mila euro ciascuno e il pagamento delle spese legali a carico dell’imputato.
“Bisogna attendere le motivazioni“. Il pg Nino Gatto che ha sostenuto l’accusa si dichiara “deluso” perché i giudici “non hanno voluto salire quel gradino che avrebbe fatto la storia”. E attende le motivazioni. Perché un conto è se le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza non hanno avuto i dovuti riscontri, in grado di formare la prova. Un altro conto è se Spatuzza non è stato creduto. Nel processo d’appello sono stati chiamati a riscontro delle dichiarazioni del pentito i capimafia di Brancaccio Giuseppe e Filippo Graviano col risultato che – solo il secondo ha parlato – hanno smentito Spatuzza.
Per la difesa il discorso è semplice. Marcello Dell’Utri è intervenuto a mediare nelle estorsioni ai danni di Berlusconi, per impiantare le antenne in Sicilia e in seguito all’attentato alla Standa di Catania. Ma non per la mafia, bensì per difendere Berlusconi. I giudici non sono stati d’accordo.