Si pente il boss Pipitone |Era all'ergastolo per omicidio - Live Sicilia

Si pente il boss Pipitone |Era all’ergastolo per omicidio

Fa parte di una storica famiglia mafiosa di Carini.

PALERMO – Era rinchiuso in carcere con una condanna all’ergastolo e ha deciso di pentirsi. C’è un nuovo collaboratore di giustizia. Si tratta di Nino Pipitone, rampollo della storica famiglia mafiosa di Carini. Il fine pena mai lo condivise con Salvatore e Sandro Lo Piccolo, boss di San Lorenzo, per l’omicidio di Giuseppe D’Angelo.

Fu un clamoroso errore di persona. Vero obiettivo del commando era il boss Bartolomeo Spatola, poi inghiottito dalla lupara bianca. Lo scambiarono per D’Angelo che il 22 agosto del 2006 era seduto davanti al negozio di frutta e verdura di un amico, a Tommaso Natale. Si sentì chiamare, si voltò e lo crivellarono di colpi. A sparare fu Gaspare Pulizzi, oggi pentito, giunto sul posto assieme a Francesco Briguglio, pure lui divenuto collaboratore di giustizia. A completare il commando c’erano Gaspare Di Maggio e Antonino Pipitone in sella ad una motocicletta.

Fu Pulizzi a chiamare “Lino” per attirare l’attenzione dell’uomo che credevano fosse Spatola. A Giuseppe D’Angelo, barista in pensione che tutti chiamavano Pino, sembrò che pronunciassero il suo nome. Gaspare Di Maggio, figlio dell’anziano boss di Cinisi Procopio, colui che commise l’errore di persona, Briguglio e Pulizzi sono stati stati processati e condannati separatamente in primo e secondo grado. Oggi la sentenza emessa dalla Corte d’appello riguarda gli altri tre imputati.

Così Pulizzi ricostruì la storia dell’incredibile errore di persona: “L’ordine l´avevano dato a me, subito dopo essere stato combinato nel giugno 2006, e a mio compare Nino Pipitone. Ma io non lo conoscevo Spatola, non l’avevo mai visto. Andammo a fare dei sopralluoghi, avevo visto D’Angelo davanti al fruttivendolo dove Sandro Lo Piccolo mi aveva detto stava sempre Spatola”. Il collaboratore di giustizia, uno dei primi del clan Lo Piccolo a saltare il fosso, si autoaccusò di afre parte del commando.

“Il giorno dell’omicidio – aggiunse – Nino Pipitone era venuto con l’autovettura di un suo operaio, mentre io e Di Maggio eravamo partiti a bordo di una moto Triumph. Giunti a Tommaso Natale avevamo verificato che non c’era traccia della vittima. Così, avevamo deciso di lasciare la moto presso un cantiere dove Pipitone, con la sua impresa, stava facendo dei lavori di scavo per la realizzazione di un capannone, al Villaggio Ruffini. Avevamo ripreso a muoverci con la macchina di Pipitone – proseguiva il racconto – e a un certo punto Di Maggio aveva riconosciuto lo Spatola nel D’Angelo. Ricordo ancora bene le sue parole: ‘È lui al cento per cento’”.

E così il commando mise in atto il piano di morte per Spatola, colpevole di avere voltato le spalle ai boss di San Lorenzo per avvicinarsi al capomafia di Pagliarelli, Nino Rotolo, che dei Lo Piccolo era il grande nemico : “Tornammo a prendere la moto. Io guidavo. Di Maggio era dietro, fu lui a sparare. Poi, dopo aver lasciato l’auto, fuggimmo sull’auto di Briguglio, una Fiat 600 di colore celeste. Uscimmo allo svincolo di Villagrazia”.

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