"La Sicilia è nello sconforto | Il Sud si sente abbandonato" - Live Sicilia

“La Sicilia è nello sconforto | Il Sud si sente abbandonato”

Il sondaggista: "Gli italiani vedono il Paese in modo distorto e severo".

L'INTERVISTA
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5 min di lettura

“La Penisola che non c’è” è l’Italia vista dagli italiani. Che non assomiglia nemmeno un po’ all’Italia vera. Perché la percezione della realtà del Paese è molto lontana dai dati reali. Una forbice, quella tra i fatti e le opinioni, che in Italia è più ampia che in qualsiasi altra nazione. Nando Pagnoncelli, presidente dell’Ipsos e volto più noto dei sondaggi in tv, ha dedicato a questo fenomeno un libro (“La penisola che non c’è”, Mondadori), presentato questa settimana all’Assemblea regionale siciliana, con interventi del presidente dell’Assemblea Gianfranco Micciché e di Teresa Piccione (Pd).

Nando Pagnoncelli, l’Isola che non c’è si trovava dopo la seconda stella a destra. E la Penisola che non c’è?

“È proprio il nostro Paese nella mente della persone. Il nostro che sicuramente è un Paese che ha molti problemi e criticità, tende a essere vissuto in modo ancora più negativo. C’è un attitudine a leggere in modo distorto e molto severo il Paese. Che sembra invaso da immigrati, con una sicurezza bassissima, vecchio e pieno di disoccupati, ma non è esattamente così che stanno le cose. Bisognerebbe avere un po’ più di discernimento”.

Ma come si è arrivati a questo?

“Si è arrivati attraverso processi di lunga data che forse hanno subito una accelerazione in questi anni. Da un lato sono cambiamenti antropologici, il primo è questa accentuazione della dimensione individuale e l’affievolirsi del senso di appartenenza. E questo ci porta a reclamare diritti piuttosto che accettare doveri, come se dovessimo chiuderci in difesa spaventati da minacce vere e o presunte. Il secondo cambiamento importante è la così detta frammentazione identitaria. Che spiega molte contraddizioni che le persone esprimono. Sono reduce mezz’ora da un incontro con una persona che è un leghista convinto qui nelle valli bergamasche e mi raccontava che l’uomo di fiducia dell’azienda è un marocchino e che gli operai immigrati lavorano dieci volte meglio dei bergamaschi. In questi tempi viene meno questa visione unica e coerente del sé”.

Un fenomeno a cui assistiamo un po’ tutti nella quotidianità.

“Io penso che la strada sia l’emblema di queste contraddizioni, una persona reclama idee e bisogni diversi a seconda se inforca la bicicletta o guida l’auto o la moto. Il traffico è una zona franca dell’etica, ognuno fa quel che gli pare, con i ciclisti sul marciapiede o quelli che si affiancano in quattro in bici per parlare. Le faccio un altro esempio: io vedo a Bergamo i donatori di sangue, l’immagine dell’altruismo, che però vanno a donare e parcheggiano tutti in doppia fila. Da un alto sei stra-attento agli altri e dall’altro degli altri non te ne frega niente. È come quando si mettevano le bandiere della pace ai balconi e poi alle riunioni di condominio si litigava venendo alle mani”.

Quali sono i temi sui quali l’opinione pubblica ha convincimenti più lontani dalla realtà dei fatti?

“Sicuramente quello più mediatico e d’attualità è quello dei migranti. La cosa più interessante è quello che esce da Eurobarometro, cioè che il 47 per cento degli italiani pensa che siano più i clandestini dei regolari, mentre non è assolutamente così. Così come il tema della sicurezza, siamo costantemente convinti di essere esposti al rischio. Poi ci sono altri temi su cui siamo molto sensibili come la disoccupazione: gli italiani pensano che uno su due sia disoccupato e invece i disoccupati sono il 10 per cento. Anche l’invecchiamento è percepito in un modo falsato, gli italiani pensano addirittura che la metà della popolazione ha più di 60 anni. Poi ci sono cose che fanno sorridere. Per esempio, si pensa che il 35 per cento degli italiani abbia il diabete, i realtà è il 5 per cento, o che le ragazze madri siano il 17 per cento e invece sono lo 0,6”.

La Sicilia si discosta in qualcosa dal campione nazionale?

“Ci sono molte meno differenze rispetto a quelle che noi con le ricerche registravamo vent’anni fa. La televisione ha fatto molto per uniformare il sentire. Sì, al Sud alcuni temi sono avvertiti in modo più preoccupato. Al Sud è sentito il tema dei migranti così come quello, molto avvertito nella percezione, della disoccupazione. In Sicilia le organizzazioni mafiose prima erano molto attive, oggi meno, eppure abbiamo la sensazione che siano aumentati gli omicidi, anche in Sicilia. Perché da Cogne in poi, l’omicidio è diventato un genere televisivo. Così come siamo convinti che stiano aumentando i femminicidi, ma il fatto è solo che se ne sta parlando molto di più”.

Dalle vostre ricerche, qual è lo stato d’animo prevalente tra i siciliani secondo lei?

“Non abbiamo ricerche molto specifiche sul tema ma abbiamo una lettura del Sud del nostro Paese. C’è molto sconforto, come se il Sud fosse stato abbandonato. Se pensiamo agli ultimi governi, indipendentemente dal colore, iniziative forti a favore del Sud non ce ne sono state. Il reddito di cittadinanza è un provvedimento che può trovare maggiore accoglienza nelle regioni meridionali ma pensare al Sud come una parte del Paese che reclama politiche assistenzialiste è fuori da ogni realtà. Oggi è come se il Sud volesse essere partecipe dei processi di crescita del Paese. Mi ha colpito molto un elemento sul dibattito a proposito dell’autonomia differenziata: molte regioni del Sud reclamano l’autonomia. Questo vuol dire che c’è un orgoglio, una voglia di affermazione. Qui si stratta di definire un percorso da un punto di vista infrastrutturale, imprenditoriale”.

Non sembra che ci sia qualcuno al lavoro per definirlo.

“Sì, il problema è la memoria delle cattedrali nel deserto che non hanno funzionato. Ma non è che la storia si ripete sempre e va sempre nello stesso modo. Una classe politica illuminata e giovane farebbe molto bene a scommettere sul Sud”.

 

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