PALERMO – Un professionista di Gela ha diritto a un indennizzo in quanto vittima del farmaco killer Talidomide. Ha vinto la sua battaglia, ma non è l’unico che la sta combattendo.
Nonostante la normativa italiana preveda sin dal 2008 un indennizzo per i cittadini danneggiati dal medicinale, prescritto alle donne in gravidanza negli anni ’50 e ’60, il ministero della Salute, attraverso il giudizio delle proprie commissioni mediche, ha sempre controbattuto chiedendo la prova dell’utilizzo del Talidomide.
Una prova difficile se non impossibile da produrre, visto che il medicinale, un tranquillante, era in circolazione ormai 60 anni fa.
Il professionista sessantenne, nato con gravissime malformazioni al braccio destro, si era visto rifiutare il riconoscimento dell’indennizzo sulla base della relazione della Commissione medica ospedaliera di Messina. Quest’ultima ha negato la sussistenza del nesso di causalità fra l’assunzione del medicinale e la malformazione.
Gli avvocati Ermanno Zancla e Federica Licata di Palermo hanno fatto ricorso al Tribunale del Lavoro di Gela che ha nominato un medico legale, il quale ha stabilito che la malformazione è dovuta al farmaco ingerito dalla mamma nelle prime settimane di gravidanza.
La sentenza ha così riconosciuto al professionista un indennizzo di 5 mila euro al mese con decorrenza dal 2008 (l’arretrato ammonta a 900 mila euro circa) e per tutta la vita.
“Il Ministero ha concesso fino ad adesso solo seicento indennizzi in tutta Italia – spiegano gli avvocati Zancla e Licata – ma questo tipo di sentenze probabilmente sta spostando l’ago della bilancia a favore di tantissimi cittadini italiani che si ritrovano malformazioni gravissime anche monolaterali, certamente riconducibili alla circolazione del principio attivo Talidomide negli anni ’60 e rispetto ai quali lo Stato si è sempre rifiutato di riconoscere alcunché. Fino ad adesso almeno”.