Sicilia spina nel fianco di Salvini | Quelli che dicono no al Capitano - Live Sicilia

Sicilia spina nel fianco di Salvini | Quelli che dicono no al Capitano

Orlando, Micciché, i vescovi, la magistratura: è l'Isola ultimo baluardo antipopulista?

L’ultimo baluardo all’avanzata leghista, almeno da un punto di vista d’immagine, sembra rimasto da queste parti, al di qua dello Stretto. In quella Sicilia che da mesi riserva dispiaceri o almeno grattacapi a Matteo Salvini e alla sua inarrestabile ascesa populista. Con uno schieramento di “nemici” che appare più abbondante che altrove. In Sicilia è venuto tante volte prima delle elezioni Matteo Salvini. Il “Capitano”, dopo qualche imbarazzo per vicende giudiziarie che hanno investito o lambito i suoi referenti locali, ha affidato la gestione dell’Isola al lombardo Stefano Candiani, coadiuvato dai dioscuri Igor Gelarda e Fabio Cantarella, da Palermo e Catania. L’anticamera degli aspiranti leghisti è stata ed è affollata e non sono mancati i rifiuti, segnali questi che dimostrano l’indiscutibile appeal del Carroccio – impensabile solo pochi anni fa – anche in Sicilia. Ma accanto a questo, l’Isola ha prodotto in questi mesi anche una sorta di fil rouge, un’ideale resistenza all’avanzata populista salviniana, con protagonisti ben visibili.

Leoluca Orlando è di certo uno di questi. Il sindaco di Palermo è diventato il capofila della rivolta dei sindaci contro il decreto sicurezza con le sue misure controverse. Orlando ha attaccato Salvini e le sue politiche senza mezzi termini, rivendicando i valori costituzionali fino alla decisione di forzare la mano dando il via libera alla concessione della residenza a quattro migranti contro le disposizioni delle nuove norme, con l’auspicio dichiarato che la vicenda finisca davanti a un giudice per sollevare in quella sede la questione di legittimità costituzionale.

Ma Orlando non è solo. L’altro alfiere dell’antisalvinismo siculo, un po’ a sorpresa non è emersa da sinistra. È Gianfranco Micciché, leader di Forza Italia e presidente dell’Ars, che a Salvini in questi mesi ha detto davvero un po’ di tutto, da “str…” a “peggio di Hitler”, tanto per segnalare solo le parole più dolci. Micciché rivendica la differenza di Forza Italia rispetto alla Lega, appellandosi alla tradizione liberale e popolare a cui ha fatto riferimento in questi anni il partito di Berlusconi. Ma il commissario azzurro si muove piuttosto isolato. Berlusconi, infatti, non vuole rompere con la Lega con cui governa in coalizione diverse regioni (e il numero potrebbe aumentare a breve). I forzisti del Nord sembrano molto Salvini-oriented, anche perché sondaggi alla mano, con il Carroccio in costante ascesa e Forza Italia ormai a una sola cifra, tutti pensano al futuro. Anche dentro il partito siciliano le bordate di Micciché non trascinano un bel pezzo di partito, quello di matrice post-missina, in perfetta sintonia con Nello Musumeci, dialogante da sempre con Salvini e ideale interlocutore siciliano di un centrodestra del prossimo futuro a trazione marcatamente destrorsa. Ma per quanto minoritaria a livello nazionale, la battaglia di Micciché vede comunque qualche nome della Forza Italia sudista pronto a esporsi. Come l’ex ministro Stefania Prestigiacomo che è salita sulla Sea Watch attirandosi addosso il linciaggio social dei leoni da tastiera e della stampa di destra. O come Mara Carfagna, che quando parla del nuovo leghismo lo fa assai più pane al pane e vino al vino di molti suoi compagni di partito.

Insomma, le spine nel fianco della Lega non mancano nella politica siciliana. Anche il malconcio Pd siciliano, dopo le batoste e le spaccature interne, ha cercato di riprendere la via della politica puntando dritto a Salvini e compagni, con l’iniziativa di Davide Faraone di indossare magliette che ricordassero le sparate razziste contro i meridionali pronunciate dai leghisti solo una manciata d’anni fa.

Ma non c’è solo la politica. Anche la magistratura ha dato grattacapi, ancor più seri, al ministro. Prima con Luigi Patronaggio, che ha aperto l’inchiesta sul caso Diciotti. Poi con i magistrati del tribunale dei ministri di Catania, che respingendo la richiesta di archiviazione della procura di Catania, quella delle inchieste sulle Ong finite con un nulla di fatto, ha chiesto di procedere per il grave reato di sequestro di persona. Un passaggio che ha inguaiato eccome la maggioranza “del cambiamento”, con i grillini, profeti del più intransigente giustizialismo, che potrebbero essere costretti a votare quell’immunità contro cui hanno tuonato per anni scandendo slogan al tintinnio di manette.

Politici e giudici, quindi. Ma non solo. C’è anche quella che un tempo si chiamava società civile. La Chiesa ad esempio. Qui ancora più che altrove i vescovi si sono fatti sentire contro la retorica della “pacchia” del Capitano, con prese di posizione pubbliche nettissime da parte di prelati come il cardinale Franco Montenegro e i vescovi Corrado Lorefice e Domenico Mogavero. Vivace è stato anche l’associazionismo, vedi le manifestazioni di Siracusa, con una città mobilitata nel nome dell’accoglienza, e la testimonianza di quanti hanno operato sul fronte dell’immigrazione in questi anni, come Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa, che qualche giorno fa in prima serata su Rai uno ha raccontato un paio di toccanti vicende di bambine migranti, preziose per non spersonalizzare un argomento delicato come questo.

Alla “resistenza” siciliana ha dedicato nei giorni scorsi un lungo reportage anche il New York Times, partendo dalla battaglia di Orlando. Che poi il fronte anti-Salvini possa davvero riuscire nell’Isola ad arrestare l’avanzata populista questo è tutto da dimostrare. Il Capitano ha nell’Isola alleati di peso. E le Europee saranno l’occasione per contarsi.


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