Il dossier di Legambiente del 18 dicembre scorso, Pendolaria 2014, traccia il quadro dei trasporti ferroviari in Italia. Dal 2009 a oggi si è assistito a un autentico paradosso: mentre i passeggeri aumentavano del 17%, le risorse statali per il trasporto regionale su gomma e ferro venivano tagliate del 25%, mentre gli utenti del trasporto locale sono aumentati, attestando una crescita della richiesta di servizio pubblico disperatamente presente anche nella nostra Regione, rispetto alla quale Legambiente, già lo scorso anno, aveva segnalato la presenza di una tra le dieci peggiori linee ferroviarie d’Italia, la Siracusa-Ragusa-Gela, linea non elettrificata e a binario unico, ove la media di velocità è di 55 km/h, mentre i tempi di percorrenza dei treni sono rimasti quelli di vent’anni fa (per la Comiso-Ragusa e la Pozzallo-Modica sono addirittura maggiori); le biglietterie nelle stazioni sono quasi del tutto scomparse e ben otto sono i treni soppressi.
Pendolaria 2014 disegna, come sempre, due realtà: quella del Nord, dei gioielli alati come Frecciarossa e Italo, nel contesto di alta velocità delle Frecce Trenitalia che collegano Roma, Milano, Napoli, Torino, Venezia, con una offerta sempre più ampia e, ovviamente, redditizia per l’azienda, aumentata, fra Roma e milano, del 450% in sette anni. E, poi, del Sud, servito da Intercity e convogli regionali, quelli dell’Italia lenta, nella quale si viaggia tra tagli, ritardi e disservizi, con oltre 1.189 km di rete ferroviaria ormai chiusi. E in questo caso, slow non è sinonimo di godibile, ma di disservizi che funestano l’esistenza. Un’Italia, in buona sostanza, divisa a metà “fra treni superveloci e lumaca”, come titola Repubblica Ambiente. Ma va! Chi è il genio che se n’è accorto? Certo, meglio scriverne che tacerne, specie quando si vive sereni nella metà veloce del Paese. Salvo poi sprofondare nel caos quando si viene da conquistadores in terra sicula, per darci, sempre con serenità, dei terroni retrogradi e terzomondisti come se il nostro multiforme ritardo non avesse finanziato il loro monocorde progresso.
Nel leggere una quantità di articoli sul tema, troviamo una vasta messe di dati sulla Toscana, premiata per la riapertura della linea Cecina-Saline di Volterra; sulla mitica provincia di Bolzano (si scrive Alto Adge ma si legge Südtirol), per il recupero delle linee della Val Venosta e della Val Pusteria, dove gli investimenti hanno triplicato i passeggeri, passati da 11.000 nel 2011 a 29.300; dei cento treni che ogni giorno da Roma partono per Milano e Venezia, con un aumento dell’offerta pari al 290%.
Ci sono, di certo, anche dati negativi dei quali prendere atto. Con sentita commiserazione rileviamo che il nordicissimo, ordinato, civile Piemonte, culla del Regno, registra tagli al servizio pari al -7,5% dei treni per chilometro e la cancellazione di quattordici linee, per cui i viaggiatori da 236mila al giorno nel 2012 sono ora 203mila. Anche i ricchi piangono! C’e poi quel drammatico -31%, che offusca la grande bellezza, già al momento piuttosto appannata, di Roma, relativo alla scarsa offerta di trasporto nella linea Fiumicino Aeroporto-Fara Sabina; i 75.000 pendolari che quotidianamente utilizzano la tratta hanno visto cancellare tre treni, e già la linea era appena sufficiente per soli cinquantamila viaggiatori al giorno. Degrado e incertezza del trasporto ferroviario hanno determinato la riduzione del numero dei pendolari non solo in Campania e in Piemonte, ma anche Abruzzo e in Liguria: a Genova i treni che attraversano la città da Voltri a Nervi sono passati da 51 a 35, su una linea percorsa ogni giorno da 25mila pendolari.
E nel rilevare che in quasi tutte le Regioni la spesa per i trasporti è del tutto inadeguata perché per il settore stanziano in media solo lo 0,4% del bilancio, ecco che, tra le situazioni più gravi nel Paese, nel dossier brilla finalmente un nome: Sicilia. I pendolari siciliani sono centinaia di migliaia e non si raggiunge neanche lo 0,1% della spesa rispetto al bilancio.
Molte testate che riprendono i dati dello studio di Legambiente, peraltro, la Sicilia non la nominano affatto; lì in coda dov’è, statisticamente e geograficamente, magari induce a pensare che i treni proprio non ci siano, meno che mai, poi, provenienti dalla Penisola. E che, può forse attraversare il mare, un treno? Ma lasciamoli lì, coi loro carretti variopinti.
Lo scorso novembre Legambiente aveva, altresì, pubblicato i dati del rapporto Ecosistema Urbano, sulla vivibilità ambientale dei capoluoghi di provincia italiani, raccolti utilizzando diciotto indicatori sulla qualità dell’aria, la gestione delle acque, i rifiuti, il trasporto pubblico, la mobilità, l’incidentalità stradale, l’energia. Ad aprire la classifica delle città dove si vive meglio è Verbania, seguita da Belluno, poi le “tirolesi” Bolzano e Trento. Amarus in fundo, in coda alla graduatoria si trova Agrigento, bella e impossibile, col suo triste primato negativo. E le altre province siciliane? Ragusa al sessantanovesimo posto: sarà l’effetto Montalbano? Trapani 73°, Caltanissetta 88°, Enna 91°, Siracusa 94°, Catania 95°, e , infine, Messina batte Palermo 101 a 96.
Tornando ai trasporti in Sicilia, se si prende in esame l’alternativa ai treni, basta viaggiare anche solo una volta ogni tanto per toccare con mano cosa succede quando dall’aeroporto di Catania si deve raggiungere Messina (città che, lo ricordiamo, non ha aeroporto ed è costantemente beffata dalla dizione “Aeroporto dello Stretto” incautamente affibbiata al Tito Minniti di Reggio Calabria, ormai comodamente raggiungibile a nuoto), dove proprio di sabato, giornata di rientro, se si perde il bus delle 18 si rimane a ciondolare disperatamente fino alle 21 meno un quarto. O quello che si sta verificando riguardo al servizio autobus in arrivo e in partenza da Palermo per tutta l’Isola, che a causa dei lavori lungo Corso dei Mille, che si preannunciano diuturni, (sul caos per la nuova viabilità si vedano i tanti articoli che Live Sicilia ha dedicato in questi ultimi mesi ai disagi degli automobilisti), i bus devono prendere vie alternative per raggiungere la Stazione Centrale. Non più tardi di due giorni fa alle 10,30 del mattino, come spesso ormai succede, due autobus sono rimasti bloccati dalla “civiltà”, anch’essa in divieto di sosta, di un automobilista che, parcheggiando all’angolo ha bloccato il traffico e cento disgraziati viaggiatori, molti dei quali con pesanti bagagli, che non hanno potuto come altri percorrere, marciando allegri, i quindici minuti di strada che ancora li separavano dal punto d’arrivo.
Siamo alla schizotrenia, secondo l’arguta definizione della blogger Licia Satirico, che su “Torte Scorrevoli” scrive: «Ogni mattina, in Italia, un passeggero si sveglia e sa che dovrà correre più veloce del treno o perderà il lavoro. Ogni mattina, in Italia, un treno si sveglia e sa che dovrà correre più veloce del passeggero o sarà rottamato.
Quando il sole sorge, non importa se sei passeggero o treno: l’importante è che cominci a correre». La satirica Satirico preconizza in un fanta-post che presto Renzi affiancherà ai treni le zucche col tiro a quattro di topini mutati in destrieri dalla bacchetta magica con la quale cambierà il paese (Isole comprese), e allora nascerà il nuovo miracolo italiano, l’alta “ortaggità”; ma, per il momento, ci teniamo la Cariddi-Dakar.
In terra di Sicilia, ricchi come siamo di suggestioni multiculturali, potremmo emulare, seduti su una panchina della stazione di una qualsiasi delle nostre città, tristemente splendide e tristemente agonizzanti, il riservato professor Walter Vale, protagonista del misurato eppur struggente capolavoro diretto e sceneggiato da Thomas McCarthy, L’ospite inatteso (The Visitor, 2007), stregato dallo djambé, il quale, ritrovatosi solo e dolente in una stazione della metropolitana, fa battere il cuore al ritmo del tamburo africano, condannato a una vita mediocre, nella quale nulla lo strappa al torpore che lo avvolge.