PALERMO – Sfoggiano collane grossolane, tatuaggi, barbe lunghe ispirate al clan napoletano dei “Barbudos”. Dalla strada sono sbarcati direttamente sui social, nuova frontiera della criminalità. Algoritmi, inni alla galera e alla malavita si incrociano, alimentando un fenomeno che dà i brividi. Sono gli “influencer del crimine”, sempre più presenti soprattutto su TikTok.
Il criminologo: “Conseguenze gravissime”
“Sono alla ricerca di consenso soprattutto tra i più giovani. E’ la fascia più a rischio: anche i non violenti, attraverso questo tipo di comunicazione che così diffonde subcultura, possono diventare dei ‘simpatizzanti'”. A dirlo è Nicola Malizia, professore ordinario di Criminologia all’Università Kore di Enna, che spiega: “Dobbiamo spostare sul serio la nostra attenzione sullo strumento digitale. I social sono in mano in tutti, creano dipendenza e se, in questo meccanismo già malato, si fanno spazio gli inni alla violenza, le conseguenze possono essere gravissime”.

Hashtag dedicati, migliaia di like
“Ogni like o cuoricino a questo genere di messaggi – sottolinea – è una sorta di approvazione, che fa crescere il narcisismo che caratterizza questo tipo di soggetti”. E così, orologi d’oro, moto e auto sportive, banconote sparse sul letto che circondano un neonato, dilagano sugli schermi degli smartphone, con tanto di hashtag dedicati, rigorosamente riferiti al mondo della criminalità. Soprattutto su Tik Tok.
Identikit dell’influencer del crimine
“La sfrontatezza con cui viene giustificato l’essere criminale è tipica del soggetto narcisista-onnipotente, che condivide con orgoglio la sua condizione. Chi posta contenuti di questo tipo crea consenso tra un pubblico facilmente influenzabile, quindi quello più giovane. I social – prosegue Malizia – nati come uno strumento che doveva avvicinare le persone, si sono trasformati in un’arma a doppio taglio: mentre la società cerca di combattere le mafie e la criminalità in genere, al loro interno c’è chi le esalta e diffonde ideali più che nocivi”.
Musica trap e frasi che esaltano la criminalità
A fare da sottofondo ai post o al video su TikTok degli “influencer del crimine”, musica trap che parla della vita in carcere, di vendetta, di rispetto. O audio estratti da fiction e film sulla mafia. Persino le cosiddette emoji, sono inserite ad hoc: manette e sbarre, accompagnano didascalie o frasi a caratteri cubitali che scorrono sulle immagini. Un’esaltazione del mondo criminale a portata di click e tutt’altro che virtuale.
Maranzano e il post dopo il delitto
Post che rispecchiano più che mai la realtà, dunque, come nel caso dei contenuti pubblicati da Gaetano Maranzano, il 28enne in carcere per l’omicidio di Paola Taormina, ucciso con un colpo di pistola in centro a Palermo. Poche ore dopo il delitto si è scattato una foto e l’ha condivisa su TikTok. Ad accompagnarla, un audio estratto dalla fiction “Il capo dei capi”, che racconta la storia di Totò Riina. “Tu mi arresti?”, diceva il boss al poliziotto. “Bel lavoro che ti sei scelto”, proseguiva. Il 28enne indossava collane vistose, una delle quali con un ciondolo a forma di mitra.
L’indagine della procura sui “like”
Maranzano sapeva in quel momento di avere le ore contate e di avere agito davanti a decine di persone a volto scoperto, ripreso dalle telecamere. E’ stato fermato dai carabinieri poco dopo. Il contenuto condiviso sui social ha ricevuto più di quattromila like, che aumentano giornalmente. Una reazione degli utenti inquietante: la procura per i minorenni di Palermo sta indagando per individuare i giovani che hanno “appoggiato” i messaggi lanciati da Maranzano. I pm vogliono infatti verificare il contesto in cui vivono questi ragazzi, alcuni dei quali hanno anche scritto parole di incoraggiamento al 28enne.
“Influencer del crimine”, come combattere il fenomeno
Ma è possibile arginare il fenomeno? “E’ necessario informare i più giovani nelle scuole – dice il professore Nicola Malizia – devono essere consapevoli di cosa vuol dire mettere un like a messaggi che inneggiano alla criminalità, che ogni consenso fa crescere l’autostima di questi soggetti. E’ poi fondamentale il controllo genitoriale, lo è anche un più attento monitoraggio da parte della polizia delle Comunicazioni”.
Le soluzioni sul campo
“Ma ci sono secondo me anche interventi da mettere in atto sul campo, che potrebbero fare da deterrente. Come in molti altri Paesi, sarebbe necessario il metal detector nelle vie d’accesso ritenute più a rischio. Bisogna contrastare l’uso delle armi, di cui purtroppo questi soggetti riescono ad entrare illegalmente in possesso. Dovrebbe essere istituita un’unica via d’accesso in determinate aree della città, dove chi entra viene sottoposto al controllo. Sarebbe un importante passo sul fronte della sicurezza”.

