Qualunque processo evolutivo fa nascere qualcosa ma al contempo ne genera la disgregazione di altre. Volendo partire da una definizione classica, il termine social (sociale), declina “la naturale attitudine dell’essere umano ad istaurare rapporti con i propri simili determinando relazioni all’interno del proprio tessuto sociale”.
Ormai non possiamo che ammettere quanto siamo diventati mentalmente cablati e condizionati. Infatti, è certamente vero che siamo evolutivamente condizionati dalla nostra neurofisiologia a comunicare, connetterci e coordinarci l’uno con l’altro, ma allo stesso tempo, oggi, la stessa rappresenta il “gancio” che ci lega all’utilizzo quasi costante e compulsivo dei social media, da quella che viene definita l’Hype Mascine (il sistema dei social nel loro complesso).
Questo si riferisce proprio alle caratteristiche dei social media che fanno appello al nostro cervello e rendono le varie piattaforme come Facebook, Twitter, Linkedin, Tik Tok, ecc. così accattivanti e influenzanti. Se nel corso dell’intera evoluzione umana il nostro cervello si è evoluto per essere sociale, oggi questo aspetto va sempre osservato da due punti di vista principali: quello scientifico (infatti il campo delle neuroscienze fornisce approfondimenti su come i percorsi neurali nel cervello umano si sono evoluti per consentire le complesse relazioni sociali che costituiscono la società umana) e quellosociologico, cioè di come si compone una collettività che a mano a mano si espandeanche virtualmente, definendo nuove dinamiche e gerarchie organizzative, dotandosi di regole e di comportamento sia esse formali che informali.
“L’inconscio virtuale è la perdita della fisicità comunicativa”
I social media ormai sono un contenitore tanto virtuale quanto divenuto reale essendo prepotentemente entrati nella vita quotidiana di ognuno di noi assumendone una piena centralità comunicativa e comportamentale.
Una forma di comunicazione che ormai ci coinvolge e trascina praticamente tutti, influenzando la formazione delle nostre aspettative, gratificazioni, scelte con unaprogressiva trasformazione del linguaggio che ha visto polverizzata la propria complessità espressiva, declinandosi in assiomi ed emoticon di varia natura. Ormai basta un click su un tasto per esprimere apprezzamento, dissenso, dubbio, ecc.rinunciando di fatto a qualsiasi esplicazione linguistica complessa.
La domanda reale è, quale è oggi la dimensione reale del nostro tessuto sociale? Certamente i social media ne sono diventati contenitore e spazio espressivo, inizialmente una ristretta comunità che da etnia si è dilatata fino a diventare un fenomeno sociale globale.
Un repentino cambiamento in cui le dimensioni sociali dell’individuo si sono, in un brevissimo lasso temporale, radicalmente dilatate, a discapito di una dimensione fisica che è stata superata creando una sorta di identità virtuale dell’individuo. Si pensi in quanto poco tempo si è passati dalle lettere scritte a mano su carta, alle e-mail, ai blog, fino all’utilizzo dei social media, il cui, forse il più emblematico, Facebook, conta oltre 1 miliardo e 600 milioni di iscritti. Più della popolazione della maggior parte delle comunità fisiche organizzatesi in stati con confini geografici.
In questa evoluzione virtuale, la comunicazione oltre a cambiare linguaggio ha progressivamente cambiato il costume sociale. Oggi, ciò che si comunica – condivide sui social è certamente meno intimista rispetto, ad esempio a quello che si poteva scrivere in una corrispondenza epistolare, la prima cosa che salta agli occhi, è che si è persa l’attitudine alla verità interiore, lasciando il posto, progressivamente, solo a quella che possiamo definire “comunicazione del bello”.
Se prestiamo attenzione di fatto, sul web, c’è una prevalente tendenza a condividere solo i momenti belli, goliardici, di spensieratezza, come se si volesse mettere in vetrina solo ciò che di piacevole vi è nella propria vita. Quasi a volere esclusivamente dire: “guardate sto facendo, mangiando o vivendo qualcosa di stupendo e perciò sto bene”. Ma è davvero così? Il fatto di per sé è singolare, perché, riflettendoci oggettivamente, la vita è fatta di tanto altro, anzi i momenti meno felici spesso sono molti più numerosi di quelli felici o spensierati.
Ma anche in questo vi si può trovare una specificazione, in relazione a quello che possiamo definire come formazione di un inconscio virtuale. La proiezione di se stessi sulla rete, tende a proiettarsi esclusivamente in maniera positiva e forte agli occhi degli altri, credendo che nel condividere solo il bello o ciò che vuole generare mero plauso, vi sia molto meno spazio per il giudizio altrui. La virtualità non spinge a comunicare il dolore.
Si delinea di fatto, la progressiva formazione di una generazione sempre meno propensa a metabolizzare una propria reale storia personale, relegando le varianti e le incertezze della vita in un luogo inespressivo, cioè quello che proviene dalla scarificazione del confronto fisico, di ciò che realmente si vive e subisce nel mondo reale. Tutto ciò, soprattutto nelle giovani generazioni, genera di fatto un pericoloso allontanamento dall’io cosciente, dai tremori della vita reale, determinando una rischiosa perdita della propria sfera delle inibizioni.
Il vero pericolo per le nuove generazioni
Una generazione a “testa in giù”
Il web ci ha globalizzato, e di per sé questo può avere anche degli aspetti positivi, ma bisogna anche chiedersi in che modo ciò è avvenuto e con quali consequenziali rischi.
Tale globalizzazione, se analizzata in profondità, in realtà appare più come una strutturata singolarità, quasi un paradossale isolamento. Oggi più presenti si è nei social, meno pienamente relazionali si è nella vita reale. Quante persone possiamo osservare, ad esempio, in un mezzo di trasporto pubblico riversi con lo sguardo sulproprio telefonino in mano, assenti dalla realtà e perciò dal nutrimento degli input esterni, in una cena o un evento conviviale quanti telefoni ci sono poggiati sul tavolo e nonostante siamo tra amici quante volte buttiamo un occhio al nostro telefono, quante volte vediamo giovani in gruppo tutti a “testa in giù” a guardare i propri dispositivi elettronici invece che dialogare tra di loro.
Se ci riflettiamo, tramite i social media si socializza con il mondo, ma dentro un isolamento dalla realtà che ci circonda.. Il confronto fisico è stato progressivamente sostituito da quello virtuale.La socializzazione fatta di vita reale, sguardi, odori, sapori, emozioni, rossori, paure e coraggio si è trasformata in una socializzazione sempre più asettica, la rete, il web e i social, di fatto sono diventati per il nostro inconscio luoghi molto più rassicuranti della vita reale.
Ecco perché possiamo definire la deriva evoluzionistica del rapporto con i social in qualche misura involutiva, perché osserviamo come si sta sempre più allargando la frattura tra il processo formativo che struttura la personalità dell’individuo nello scambio fisico e quello che avviene nello scambio virtuale. Questo perché ciò che inibisce che ci fa più paura proviene e deriva dal mondo reale, da quello che possiamo chiamare “i rossori della vita”, cosa che è naturalmente molto più attenuata in un semplice scambio di messaggi su un telefono portatile o in un post pubblicato su un social. Sui social si tende a eliminare tutte le imperfezioni che caratterizzano lavita reale. La comunicazione social è per natura come uno specchio senza riflesso, un luogo in cui ci esponiamo, ma trincerati da una sicurezza contestualizzata al momento in cui scegliamo di farlo.
Così, di fatto, l’espansione della socializzazione, in cui stiamo vivendo, ci ha reso paradossalmente sempre meno sociali e sempre più individuali, ormai pienamente caduti in un paradossale isolamento globalizzato. Il virtuale è falsamente diventato più reale di ciò che è fisico e tangibile. Questo perché il virtuale necessita di molta meno audacia ed azione del reale, non ci costringe a superare le barriere emotive, che invece stanno alla base di ogni istante del vissuto quotidiano e che formano la personalità dell’individuo.
Il rischio più profondo è quello che da ciò derivi la formazione di una personalità molto più debole, disinibita in assenza di emotività, priva di materia formativa concreta, appiattita su un sistema comunicativo che nasce, cresce e si esaurisce nel mondo virtuale, dove tutto diventa più facile da gestire anche se in realtà molto più fragile. Conferma di tale fragilità, è il progressivo dilagare di una personalità che ha molta più paura di essere giudicata sui social, piuttosto che nel confronto della vita reale.
La comunicazione che oggi avviene tramite i social media, nelle loro diverse tipologie e relativi target generazionali, resta un fenomeno inarrestabile di modernità, non bisogna sfuggirli ma imparare ad adoperarli in maniera più cosciente e ragionata senza farsi travolgere dalla voglia di dovere piacere a tutti i costi. La cosa fondamentale deve restare, prima di tutto, fare i conti con se stessi, piacere a se stessi.