"Sono i mafiosi della provincia"| In dodici rischiano il carcere - Live Sicilia

“Sono i mafiosi della provincia”| In dodici rischiano il carcere

Un frame delle intercettazioni

La Procura vince l'appello contro la scelta del gip di lasciarli liberi. Si attende la Cassazione

PALERMO – La loro speranza resta appesa al ricorso in Cassazione. Se dovesse essere rigettato finiranno in carcere con l’accusa di avere fatto parte delle cosche mafiose della provincia di Palermo.

Il Tribunale del Riesame, infatti, ha accolto l’appello della Procura contro la decisione del giudice per le indagini preliminari che aveva respinto la richiesta di arresto nei confronti di Saverio Maranto, Silvio Napolitano, Giuseppe Vitanza, Rosario Lanza. Riccardo Giuffrè, Salvatore Cancilla, Loreto Di Chiara, Vincenzo Medica, Giuseppe Libreri, Nicasio Salerno, Salvatore Sampognaro, Giuseppe Barreca.

Per altri indagati la posizione si complica visto che il Riesame ha accolto il ricorso dei pm per alcune ipotesi di reato, fra cui estorsioni e intestazioni fittizie. Si tratta di Giuseppe Rio, Michele Modica, Diego Rinella, Vincenzo Civiletto, Stefano Contino, Giuseppe Ingrao, Giovanni Di Marco, Mario D’Amico, Antonino Vallelunga, Gandolfo Interbartolo, Antonino Maranto, Franco Bonomo, Antonio Maria Scola.

A fine maggio scorso i carabinieri del Gruppo di Monreale e della compagnia di Termini Imerese fotografarono gli assetti della mafia in una grossa fetta della provincia palermitana. Una provincia dove la rifondazione di Cosa nostra sarebbe ripartita dagli anziani. Li chiamavano “i vattiati”, battezzati, per via delle pregressa esperienza criminale. Da San Mauro Castelverde a Trabia, passando per decine di piccoli centri, la nuova mafia guardava agli uomini e alle regole del passato. I capi mandamento sarebbero divenuti Diego Rinella e Francesco Bonomo. Il primo è fratello di Salvatore Rinella, storico capomafia di Trabia, e il secondo è genero di Peppino Farinella, capomafia di San Mauro.

Le regole di un tempo passavano innanzitutto dalla reciproca assistenza: “Quando viene qualche d’uno che… che tu riconosci che è un amicu… se lo puoi aiutare lo aiuti, se non la possiamo fare che non si può fare… ma tre quarti che vengono a bussare da te… lo sai… lo conosci… mi devi fare… da dove venite… qua non venire più”. Si sta cercando di mettere in moto la situazione – dicevano gli indagati – però ci vuole il tempo”. Innanzitutto bisognava essere meticolosi con “il giro… l’incasso… il guadagno… tutta una cosa associata… a tutti questi discorsi”.

Dalle indagini coordinate dal procuratore Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Leonardo Agueci i e dai sostituti Sergio Demontis, Sito De Flammineis, Gaspare Spedale, Ennio Petrigni e Bruno Brucoli era emersa un’attività frenetica di controllo del territorio attraverso l’imposizione del pizzo e una miriade di contatti con alcuni boss di Palermo per gestire affari su cui le indagini non sono chiuse. A cominciare dal business dell’oro e dei diamanti che pareva interessare parecchio i mafiosi di Santa Maria di Gesù e Porta Nuova.

La misura cautelare avrebbe potuto essere numericamente più pesante, ma il giudice per le indagini preliminari Fabrizio Molinari aveva respinto decine di richieste di arresto. I pubblici ministeri erano convinti che in tanti meritino di finire in carcere o ai domiciliari. Da qui l’appello al Riesame che gli ha dato ragione. Adesso si attende la Cassazione. Poi, potrebbe scattare una nuova raffica di arresti.

 


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