La lite è quasi sempre per la coperta. Così sentenziano gli antichi dalle nostre parti. E per una volta, sarà bene tenere a mente questa massima, per provare a orientarsi in questa Babilonia chiamata “crisi di governo”.
Sì, la lite è per la coperta, cioè per il proprio tornaconto, per l’utilità spiccia. Primum vivere, deinde philosophari dicevano altri, più antichi ancora. E siamo sempre lì. La coperta in questo caso assume le sembianze della poltrona. Da cui nessuno si vuole staccare davvero, e attorno alla quale ciascuno degli attori alza la polvere degli alti principi, delle istituzioni, del bene comune, dei tradimenti e della coerenza.
Ma quando mai. Si è raccontato qui, già, lo spettacolo a tratti comico delle giravolte. Ripensamenti, balle, buone per giustificare quel principio lì: che intanto, bisogna pensare a vivere, cioè a continuare a esistere (politicamente in questo caso), poi si vedrà.
L’ultimo, in Sicilia, a tirare fuori il tema è l’ex segretario regionale del Pd Davide Faraone, che accusa il ministro dell’Interno Salvini di non volere mollare la sua poltrona. E qui, però, si aprono due considerazioni. Da un lato, il senatore Dem non ha torto, facendo emergere una contraddizione che è evidentissima: Matteo Salvini fa parte di un governo nei confronti del quale lui stesso ha presentato una mozione di sfiducia. Formalmente, quindi, Salvini ha sfiduciato se stesso. E in un paese mediamente maturo dal punto di vista politico, a quella mozione sarebbero seguite le ovvie, scontate dimissioni dal Dicastero. E invece, mentre “si sfiducia”, Salvini rilancia sul tema migranti, facendo la voce grossa dal Viminale. Consapevole, probabilmente, e i sondaggi forse in questo gli sono vicini, che abbandonare quel ruolo renderebbe assai più difficile alimentare la “narrazione” leghista che ha fatto crescere il partito fin sulla soglia del quaranta per cento. E così, mentre si sfiducia il governo, meglio tenersi quella poltrona. Magari ancora per un po’, come farebbero pensare le notizie su un tentativo di “pace” col Movimento. “Ma Salvini ha chiesto chiaramente di andare al voto, altro che poltrone…” dissentirà qualcuno. Ovviamente, anche questa è, nella sostanza, una balla: gli stessi sondaggi dicono infatti che andando al voto, Salvini e i salviniani di poltrone in Parlamento ne otterrebbero almeno il doppio, senza contare quelle assai decisive dell’esecutivo. Salvini lascia e raddoppia, insomma. O almeno questo vorrebbe fare.
L’altra considerazione che viene fuori dal tweet di Faraone, però, riguarda il Pd. Anzi, quel partito dei renziani, interno al Pd. Perché anche la conferenza stampa a reti unificate da ex presidente del consiglio (?!) di Matteo Renzi è un manuale di propaganda e ipocrisia. Adesso, scopriamo che il Partito democratico non vuole andare al voto per rispetto nelle istituzioni, per evitare il rincaro dell’Iva, insomma per senso di responsabilità. Gratti gratti, però, tenendo a mente l’avvertimento degli antichi, e ti accorgi di quali sarebbero – per quel partito dei renziani interno al Pd – le vere conseguenze del voto. Non tanto l’aumento dell’Iva, quanto la diminuzione dei parlamentari di quella corrente. Le liste, infatti, non sarebbero fatte più dall’ex sindaco fiorentino, ma dal nuovo segretario. E lo spazio per fedelissimi e miracolati senza voti catapultati in parlamento si ridurrebbe di molto, anzi di moltissimo. Togliendo a Renzi l’unica forza di cui oggi dispone: un drappello di parlamentari pronto a seguirlo, e a quegli stessi parlamentari una poltrona che nella stragrande maggioranza dei casi farebbero fatica a ritrovare. E solo così può spiegarsi la marcia indietro nei confronti del Movimento cinque stelle, ammantata dalla “sofferenza personale” e dalle cene con i genitori per spiegare la difficile scelta di “un uomo delle istituzioni”. E a chi gli ricorda del suo “no” al governo con i Cinquestelle, uno dei motivi alla base dell’ascesa proprio di Salvini, Renzi risponde che tutto è cambiato rispetto a a 18 mesi fa. Vero. Ma tutto deve essere cambiato anche rispetto a 15 giorni fa, quando lo stesso Renzi ventilava l’ipotesi di una nuova forza politica e protestava contro l’epurazione del segretario amico Faraone. Su entrambe le questioni, spiegavano i renziani, lo stesso motivo: il loro “no”, anzi addirittura un “vaffa” stando alle parole proprio di Faraone, a un governo con i grillini. La coperta, la cara coperta.
Che piace ormai anche ai grillini. Gli stessi che hanno scoperto quanto sia importante il ruolo del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Adesso. Dopo averne chiesto quasi la testa, in maniera infantile. Adesso. Che va bene anche un governo con gli odiati renziani, pur di restare lì. Pur di non dover mettere subito in discussione uno dei pochi capisaldi del Movimento rimasto in piedi, cioè il limite del “doppio mandato” e pur di non dovere rinunciare ad almeno la metà delle poltrone in Parlamento, in qualche caso conquistate faticosamente attraverso qualche decina di click. Responsabilità, istituzioni, Iva, tasse, i mercati, l’Europa, il taglio dei parlamentari, il salario minimo. Certo, certo. Ma la lite, dicevano gli antichi, è sempre per la coperta.