PALERMO – Si scrollano di dosso quel “fine pena mai” al quale erano stati costretti dopo tre gradi di giudizio. Non più l’ergastolo, ma 30 anni ciascuno di carcere. Con la prospettiva, più o meno vicina, di lasciare le celle. Una prospettiva diventata realtà dopo il pronunciamento della Corte di Cassazione e che si basa su una questione di diritto affrontata negli ultimi periodi non solo dai supremi giudici ma anche dalla Corte europea per i diritti dell’uomo e dalla Corte Costituzionale.
Non sono più ergastolani Giovanni Matranga, Francesco Mulė, Giuseppe Dainotti e Giulio Di Carlo. E presto la stessa cosa avverrà per altri detenuti. Non si sa ancora quanti. Gente che in carcere ci sta da decenni. Dalla lupara bianca di Antonino Rizzuto, scomparso Palermo nel 1989, all’omicidio di un bidello di Piana degli Albanesi, Filippo Polizzi, avvenuto nello stesso anno, mentre l’uomo era in macchina: tutti gli episodi fanno parte della guerra di mafia degli anni Ottanta. Gli imputati erano stati tutti condannati con il rito abbreviato fra il 2 gennaio e il 23 novembre 2000.
La prima data è quella dell’entrata in vigore della legge Carotti che aveva disposto la sostituzione dell’ergastolo con la pena di trent’anni. Il 23 novembre quella legge, però, fu superata da un decreto legislativo che all’articolo 7 sanciva il ritorno al passato. E cioè all’ergastolo. Nel 2009 la Corte europea diede ragione a un imputato italiano e la Cassazione gli ridusse la pena a trent’anni. Nei mesi scorsi, visto che sono aumentati i ricorsi davanti ai supremi giudici, la Corte costituzionale è intervenuta stabilendo, una volta e per tutte, che l’articolo 7 del decreto legislativo del 2000 è incostituzionale.
Tra i primi a beneficiare dei paletti giuridici fissati dalla Consulta sono stati Dainotti, Di Carlo, Mulė e Matranga. Sono stati accolti i ricorsi degli avvocati Valentina e Marco Clementi, Antonino Mormino e Vincenzo Zummo. E adesso per i quattro ex ergastolani è tempo di fare i conti per capire quando potranno lasciare il carcere. Su di loro non pesa più il “fine pena mai”.