Librino, i colpi di pistola, il casco dimenticato e la caccia ai Cursoti

Librino, i colpi di pistola, il casco dimenticato e la caccia ai Cursoti

Le motivazioni della sentenza di condanna per Salvatore Chisari

CATANIA – Sono le stesse scene, con il finale che avviene in viale Grimaldi. Una sparatoria, due persone morte. A cambiare è l’interpretazione che i giudici hanno dato del ruolo che Salvatore Chisari ha avuto nella sparatoria di Librino, i fatti di sangue dell’agosto del 2020.

Per i giudici di primo grado Chisari era risultato innocente e la sua parte nella catena di eventi è casuale, con il suo arrivo in viale Grimaldi a sparatoria finita e con la sua partecipazione solo ad alcune delle riunioni del clan Cappello.

Per i giudici d’appello, ai quali si erano rivolti il procuratore aggiunto Ignazio Fonzo ed il sostituto Alessandro Sorrentino, invece Chisari avrebbe dato un contributo materiale e morale alla preparazione della sparatoria, al punto da arrivare a una condanna a sei anni le cui motivazioni sono state presentate la settimana scorsa.

Il raduno

Su quello che fece Chisari il giorno della sparatoria di Librino e nei giorni precedenti entrambe le corti concordano, riportando diverse prove e le dichiarazioni di collaboratori di giustizia che hanno riassunto lo scontro a fuoco tra clan dei Cappello e dei Cursoti milanesi.

Il gruppo di fuoco dei Cappello si riunisce il pomeriggio dell’otto agosto a Monte Pidocchio. Arrivano poco meno di una trentina di persone, tutte in scooter o moto, per andare a cercare Distefano e i suoi. Tra i motociclisti c’è Salvatore Chisari, in sella a una Bmw GS. Chisari ha anche prestato uno scooter SH 300 e due caschi ad altri due membri del gruppo.

La sparatoria di Librino

Mentre i Cappello radunano le forze Chisari, che non è formalmente affiliato al clan ma è il cognato Gaetano Nobile, si rende conto di non avere un casco per sé e si allontana per andare a recuperarlo a casa. Qui si rende conto di non avere le chiavi e deve aspettare l’arrivo della sua compagna per prendere il casco e tornare in strada.

Passano venti minuti, in cui Chisari prima torna a Monte Pidocchio e dopo aver scoperto che la spedizione è già partita si mette sulle sue tracce, conoscendo il percorso che avrebbero fatto. Prova per tre volte a chiamare il cognato senza avere risposta, poi passa da San Berillo nuovo in cerca di Distefano e dei suoi, poi arriva nei pressi di viale Grimaldi e sente rumori di spari.

A questo punto Chisari corre verso la zona degli spari e trova ferito Luciano Guzzardi. Lo fa salire in moto, lo porta nella zona di casa sua e chiede a qualcuno di portarlo all’ospedale.

La partecipazione all’assalto

Per i giudici di primo grado, questa dinamica e il fatto che Chisari non avesse partecipato alla riunione del pomeriggio dell’otto agosto in cui i Cappello avevano radunato le forze potevano escludere la colpevolezza dell’imputato. Chisari avrebbe fatto parte del gruppo per continguità familiare ma non avrebbe partecipato alla decisione di commettere un crimine, e non era presente in viale Grimaldi quando è iniziata la sparatoria.

Il suo soccorso a Luciano Guzzardi era stato letto dalla corte come, appunto, un tentativo di soccorso, e non di partecipare all’assalto in corso per dare sostegno al clan Cappello durante lo scontro con il gruppo di fuoco dei Cursoti.

I giudici d’appello hanno ribaltato questa intepretazione. Dopo una fase di riunioni preparatorie in cui i giudici ritengono che Chisari abbia partecipato alla decisione di assaltare i Cursoti milanesi, lo stesso Chisari è poi andato al raduno di Monte Pidocchio. Come ha detto durante un interrogatorio, “nonostante fossi molto in ritardo rispetto al nostro gruppo ho comunque preso parte alla spedizione, perché volevo dare manforte a mio cognato Gaetano Nobile”.

Il giro a San Berillo e il soccorso

Per la corte è vero che Chisari si è allontanato per recuperare un casco, e non perché, come poi Chisari ha sostenuto in appello, aveva capito che le cose quel pomeriggio sarebbero potute finire con degli spari. La perdita di tempo di Chisari infatti non lo tiene lontano dai luoghi dell’agguato. Prima prova a chiamare Gaetano Nobile. Poi, non trovando risposta, si mette in strada per ritrovare il gruppo e passa da San Berillo nuovo e da San Giorgio prima di arrivare a Librino.

Il giro di Chisari per ritrovare il gruppo è indicativo, per i giudici, della sua volontà di partecipare. Scrivono infatti che Chisari, essendo a conoscenza del percorso della spedizione dei Cappello, prima passa da San Berillo nuovo, “dove ha effettuato due giri della zona” perché di solito lì si potevano trovare Distefano e i suoi, e non trovando nessuno è andato verso Librino.

A questo punto, sentendo gli spari, Chisari si è diretto verso l’azione “senza esitazione alcuna e senza desistere dalla propria condotta, pronto a partecipare insieme ai componenti del clan Cappello alla programmata spedizione punitiva ai Cursoti milanesi”. Tutto questo, conclude la corte, “fa ritenere che Chisari avesse la precisa volontà di arrivare nei suddetti luoghi per partecipare alla spedizione”.


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