PALERMO – I nuovi boss scelgono luoghi insoliti per incontrarsi. Si mimetizzano fra la gente. A volte stanno in mezzo agli studenti. Fra gli indagati della nuova mafia azzerata nelle scorse settimane dai carabinieri del Nucleo investigativo di Palermo c’è anche Giovanni Cancemi, un cognome che ha fatto la storia del mandamento di Pagliarelli. Ci sono parecchi Cancemi in carcere. Innanzitutto, i fratelli Carmelo, Pietro e Vincenzo. Quest’ultimo è lo zio di Giovanni che si incontrava spesso con Settimo Mineo e Salvatore Sorrentino, l’uomo forte dell’intera Cupola e il suo più fidato uomo. Addirittura una volta, ed è lo stesso Cancemi a parlarne, si erano appartati in una scuola o all’Università:
“Aspetta… ora è entrato da una parte… ma tutti lui li conosce?… cose di scuola… mi hanno chiuso là dentro… sono amico di… ci dobbiamo prendere il caffè… prego… portone chiuso, studenti…”. Un posto al riparo da occhi indiscreti e microspie: “… dipende… dove sei infilato… non possono fare niente… Non è che .. ti vedono… hai capito”.
Il 14 febbraio 2017 ci fu l’ennesima riunione, stavolta allargata. Tra i presenti, oltre a Cancemi, Mineo e Sorrentino, anche Andrea Ferrante, Filippo Annatelli (capo della famiglia di corso Calatafimi), Giuseppe Sansone, classe 1950, e Baldassare Migliore dell’Uditore. Tutti insieme in un deposito di materiale edile nella zona universitaria. All’ordine del giorno c’era la solidarietà di Cosa nostra. Anche Cancemi, infatti, aveva i suoi detenuti di riferimento a cui non fare mancare nulla. I suoi “obblighi morali” erano per l’anziano boss di Pagliarelli, Michele Oliveri, e per Marcello Viviano.