PALERMO – “Sono qui davanti a questo giudice a difendermi per fatti già oggetto di altri processi”. Quando il 26 marzo scorso Calogero Mannino inizia la sua autodifesa al processo sulla presunta trattativa Stato-mafia ha di fronte un giovane pubblico ministero, Roberto Tartaglia, e un meno giovane procuratore aggiunto, Vittorio Teresi. Deve essere stato un flashback per entrambi, le cui vite si sono spesso incrociate in un’aula di giustizia. “Pure troppo” fece capire l’ex ministro in una vecchia intervista sul mensile S. Dalle colonne del giornale abbandonò quel tipico modo di essere moderato che, a torto o a ragione, negativa o positiva che voglia esserne l’accezione, viene definito “democristiano”. “Persecuzione?”, gli chiese il cronista. “I fatti dicono che è sempre stato lo stesso magistrato – disse -. Non so se ci sia stata o meno persecuzione”.
Era passato qualche anno dall’assoluzione definitiva in Cassazione dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Non abbastanza per non ricordare o, meglio, per dimenticare che Vittorio Teresi era andato dalla Procura alla Procura generale. Non certo per il caso Mannino, ma il caso Mannino finì per affrontare dal lato della pubblica accusa.
C’era Vittorio Teresi con la toga da pubblico ministero in Tribunale nel 2001 quando Mannino venne assolto con la formula dubitativa dopo avere trascorso 23 mesi in carcerazione preventiva. E c’era sempre Teresi, in veste di procuratore generale, quando in appello l’assoluzione fu ribaltata e arrivò una condanna a 5 anni e 4 mesi di carcere. Teresi aveva criticato la decisione di primo grado. Disse che c’era stata “un’atomizzazione dei tanti episodi contestati dalla Procura”. La sentenza di condanna che diede ragione al pm fu, però, successivamente annullata dalla Cassazione. Al termine della celebrazione di un nuovo processo, Mannino fu assolto. Definitivamente.
All’epoca dell’intervista rilasciata al mensile S, Mannino non poteva certo immaginare che la logica giudiziaria della progressione in carriera lo avrebbe posto dinnanzi ad una scena già vista. Lui sul banco degli imputati e Teresi dall’altra parte della barricata. Il caso ci ha messo del suo, per la verità. Teresi, infatti, è subentrato nel coordinamento dell’accusa al processo Trattativa. Ha preso il posto di Antonio Ingroia, sedotto dalla politica.
Mannino oggi è sotto processo, col rito abbreviato, con l’accusa di attentato mediante violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario. Come gli altri imputati del troncone principale che si celebra davanti alla Corte d’assise di Palermo. A maggio ci sarà la sentenza. Ancora una volta un giudice, stavolta toccherà al Gup Marina Petruzzella, leggerà un dispositivo davanti ad una platea di attori. Ciascuno con il proprio ruolo, ma con due protagonisti “fissi”. Mannino nella veste di imputato e Teresi con la toga da pubblico ministero.