MATERIE PRIME: torna la geopolitica
Per un pò la geopolitica nei mesi recenti sembrava essersi eclissata dalla attenzione generale; questa settimana ci ricorda che il rischio geopolitico resta un minaccia sempre presente, soprattutto adesso che la questione della presidenza USA è stata sistemata, e che si è scelto di procedere per la stampa di moneta a oltranza(i soldi per ogni spesa militare addizionale ci saranno). Il luogo prescelto per mandare in onda il promemoria è lievemente diverso da quelli soliti, ma neanche più di tanto visto che siamo in India. Le tensioni tra le due potenze nucleari India e Pakistan sono ben note, nonchè la loro vicinanza con l’Afganistan.
Nei mesi scorsi l’India si è distinta per accordi paralleli con Russia e Cina, che non devono essere piaciuti ai piani nobili. Per cui, fatto fuori l’ex amico presidente pakistano Musharraf, si è pensato adesso di lanciare qualche messaggio in codice anche agli indiani. Ma la cosa più interessante è che fin da subito siamo stati informati dai mass media occidentali che il target dell’attacco erano cittadini ebrei-americani- britannici, e “coincidenza” vuole siano i connazionali di coloro che comandano il mondo. Sono l’obiettivo per un semplice motivo: ergendosi a vittime dichiarate, tali paesi sono poi legittimati a “rispondere” come vogliono .
Questa è la mia interpretazione del film che hanno deciso di proiettarci in stile 11 settembre e che serve a confondere le acque della grande crisi economica e finanziaria. In quel copione una ventina di personaggi per lo più allevati negli USA, sequestravano 4 aerei con capacità di pilotarli eccezionali: riuscivano a centrare bersagli piccoli come un grattacielo; e a innescare un stupefacente effetto domino in grado di polverizzare le torri gemelle. In questo copione una decina di ragazzotti , di cui almeno un paio provenienti dall’Inghilterra, sbucano da una nave e mettono a ferro e a fuoco grandi hotel di lusso, con centinaia di morti e feriti. In entrambi i copioni sono presenti gli “avvisi” dei servizi di sicurezza, puntualmente ignorati dalle autorità “distratte”.
Per le prossime puntate, la scenografia internazionale si presta molto bene offrendo un ampia gamma di possibilità: dal Nord Corea al Libano, passando per Israele, oltre al solito Iran e fino ad arrivare in Russia e in Venezuela: gli USA e il mondo occidentale restano molto dipendenti dalle importazioni di energia da paesi che possono essere ritenuti “ostili”. La Storia del resto insegna che le difficoltà economiche possono facilmente tramutarsi in difficoltà civili e politiche, a loro volta trampolino di lancio per possibili guerre.
In questo contesto l’oro dovrebbe beneficiarne, anche perchè non va dimenticato che tutto il metallo giallo mondiale sta dentro un cubo da 25 metri per lato, ed è dunque ben poco in rapporto alle attività finanziarie cartacee esistenti; peccato che con un pezzo di carta possano metterlo fuori legge e confiscarlo. Questa settimana la quotazione ha proseguito nel rialzo in scia alla forza dimostrata in precedenza fino a 830 in dollari per oncia (arrivando a 21 al grammo con euro) per poi consolidare sopra quota 800. Resta valido il conteggio fatto la scorsa Nota che vede un primo obiettivo in area 875, mentre una discesa sotto 775 comprometterebbe lo sviluppo di breve termine.Anche per le altre materie prime questa settimana è arrivato un rimbalzo in scia alle borse e alla diminuita avversione per il rischio : il petrolio ha recuperato il 10%, il rame il 5%, il grano l’8%. Complessivamente l’indice delle materie prime ha rimbalzato del 7% ed è adesso a -35% dall’inizio dell’anno.
Si conclude con : petrolio a 54,4(gennaio) gas naturale a 6,5(gennaio) oro a 819(febbraio) argento a 10,2(marzo) platino a 882(gennaio) palladio a 194(marzo) rame a 165(marzo).
CAMBI: aspettando la BCE
L’indice generale del dollaro ha perso il 2% scendendo a 86,5. In corenza con la caduta dell’avversione per il rischio sono salite le valute del Brasile, Sudafrica, Australia, seguite poi da tutte le altre pur se in misura minore; scendono invece, oltre allo yen, anche il rublo russo che continua a svalutarsi, e altre minori come Argentina e Islanda.
Il dollaro nonostante la perdita non ha avuto la spinta necessaria per uscire dai recenti ranges, ed anzi venerdì per il fine mese ha beneficiato di una serie di acquisti tecnici. Così, EUR/USD che era arrivato fino a quasi 1,31 è poi ritornato a concludere a 1,27 e resta nel range 1.24- 1.31 da fine ottobre. Nella settimana a liquidità ridotta, a causa della festività, il dollaro ha per lo più risposto ai fondamentali scendendo quando i dati hanno confermato che la FED taglierà ancora i tassi, a differenza delle settimane precedenti in cui il verdone rispondeva solamente all’avversione per il rischio e quindi all’ andamento delle borse.
L’euro rimane sotto pressione perchè i dati macro (sono usciti l’inflazione in netto calo e la disoccupazione in aumento) fanno pensare ad un taglio dei tassi la prossima settimana. Il mercato dà per certo mezzo punto, e considera anche al 50% la probablità di un taglio da 75 cts..La decisione della BCE sarà uno degli elementi più importanti della prossima settimana, insieme ai commenti di Trichet nella conferenza stampa. Se dovesse far capire che la strada dei tassi al ribasso è ancora lunga, EUR/USD potrebbe andare a fare nuovi minimi rispetto all’1,233 del 28 ottobre. Più in generale, l’euro è a un bivio come il dollaro. L’avversione per il rischio, l’andamento macroeconomico, i tassi d’interesse, i salvataggi, che si rincorrono tra le due sponde dell’atlantico si intersecano continuamente nel ridefinire il trend del tasso di cambio. Il fattore che nel lungo termine finisce sempre per contare di più è quello dei tassi d’interesse; nei prossimi mesi ci si aspetta che la recessione globale si intensifichi, il che assicura tassi al ribasso, e la speculazione punterà sul fatto che la Bce ha più spazio per tagliare di quanto non abbia la Fed. Però non contano solo i tassi ufficiali, bensì anche i rendimenti sui titoli di Stato: se proseguirà il trend appena iniziato di un differenziale a favore dei titoli europei, l’euro potrebbe beneficiarne, come personalmente penso, perchè è ferma intenzione degli americani svalutare il dollaro, ed una volta finita la pressione tecnica derivante dalla riduzione delle leve, il trend di lungo termine di un dollaro debole non potrà che riprendere.
OBBLIGAZIONI: la super bolla
Negli USA i futures sul tasso a tre mesi scadenza dicembre 2009 quotano il 2,07% (-8 cts. rispetto a 7 giorni fa), il libor a tre mesi è salito al 2,21%(+6 cts.) e ad un anno al 2,77%(+4 cts.); i bot a 3 mesi allo 0,02%(+1 cts.). I rendimenti dei bonds a 2 anni a 0,98%(-11 cts.); a 5 anni al 1,92%(-9 cts.); il decennale al 2,92% (-27 cts); a 30 anni al 3,44%(-23 cts.).
L’interbancario è quindi lievemente salito, nonostante i rendimenti obbligazionari abbiano avuto altri ribassi record con il decennale sceso sotto al 3%. La Fed si è messa a monetizzare il debito pubblico, e comprando titoli di Stato inietta nuova moneta nel sistema. Quando scoppierà questa ennesima bolla, sarà un disastro epocale, e massacrerà coloro che sono caduti nella trappola (soprattutto i cinesi). Qualcosa comincia a vedersi: il costo della protezione da perdite sui titoli di stato americani è salito a un massimo di tutti i tempi: +6 cts. a 56 cts. sul decennale; per capire cosa significhi basta pensare che normalmente questo valore è a zero ed era a 2 cts. a luglio 2007; da quel momeno è iniziata una lenta salita che ora sta portando a nuovi record. Pagare 56 cts. di protezione su un titolo che ne rende 2,92 significa accontentarsi di 2,36% sperando che poi la controparte sia in grado di onorare l’impegno (e ci sono forti dubbi: immaginarsi in caso di default dello Stato, come fallirebbero tutti gli altri).
Si restringe il differenziale tra 2 e 10 anni a 194 (-17 cts), nonostante il focus recessivo. Scendono solo lievemente i tassi sui mutui a tasso fisso trentennali (-7 cts. al 5,97%) fermi i quindicennali(+1 cts. al 5,74) scendono quelli a tasso variabile ad un anno (-11 cts. al 5,18%). Scendono i differenziali dei titoli ipotecari rispetto ai titoli di stato (+191 cts. sul decennale) e quelli dei titoli delle imprese primarie a +240 cts., mentre salgono ancora a +1144 cts. quelli delle aziende considerate a maggior rischio.
Fermo il rendimento del decennale giapponese (1,39%), mentre crollano i rendimenti sugli obbligazionari dei paesi emergenti, con i bond brasiliani(-73 cts.) al 7,88% sul decennale (i messicani scendono al 7,44%.). I citadini russi hanno ritirato il 6% dei loro depositi bancari lo scorso mese.
In Europa i tassi euribor sono scesi (tranne che ad un mese dove sono saliti al 3,61% +4 cts.) : a tre mesi al 3,90%(-16 cts.) ad un anno al 4,01%(-16 cts.). I rendimenti sui bund tedeschi sono saliti sui 2 anni al 2,18%(+9 cts.) e sono scesi di 13 cts. sul decennale (3,26%): stessa dinamica americana,ma più accentuata, per cui si riduce molto il differenziale tra 2 e 10 anni (+108 cts.); il differenziale con i bonds USA sale a +34 cts. per il bund sul decennale, e sale sulla scadenza a due anni (+120 cts.) sempre a favore del bund, il che spiega la recente maggior forza relativa del cambio eurodollaro. I Btp questa settimana hanno ancora perso terreno rispetto ai Bund, con lo spread fra i rendimenti dei decennali Btp e Bund a 120 cts.
BORSE: vero rimbalzo?
Il recente minimo dello sp500 a 741, inferiore al minimo del 2002, si è accompagnato a una divergenza con gli altri indici (Dow Jones, Nasdaq) che invece sono restati sopra ai loro minimi 2002. Inoltre 3 mercati asiatici sono già in fase rialzista per la prima volta da 5-6 mesi: Giappone, Hong Kong e Cina, ed anche il Brasile è in posizione analoga. Vi sono pure evidenze grafiche che fanno pensare come lo yen possa avere inziato a correggere, e il dollaro abbia già completato la sua sequenza rialzista a 5 onde. L’insieme di questi fattori potrebbe segnalare che questa volta stia per iniziare il vero rimbalzo, tanto atteso da tempo. Saranno le prime due settimane di dicembre a dirci se è così oppure no. Dall’altro lato infatti c’è una somiglianza quasi perfetta con l’ondina correttiva sviluppatasi dal 28 ottobre che fece 163 punti(845-1008) in sei giorni, e fu poi seguita da un nuovo minimo; se fosse così, già la prossima settimana dovrebbe iniziare la discesa verso un nuovo minimo. La sensazione in generale è che gli investitori ancora non siano convinti delle possibilità rialziste, ma siano certamente meno negativi che nel recente passato, data la serie impressionante di sostegni monetari annunciati dalle autorità. Il mese di novembre viene comunque archiviato, nonostante il rally degli ultimi 5 giorni consecutivi, con perdite di oltre il 6% per sp e dow e dell’11% per il nasdaq, in un mese che ha visto i rendimenti scendere come non mai, il petrolio perdersi il 20% e solo l’oro andare contro tendenza con +15%.
Se il primo ciclo del ribasso fosse realmente finito a 741, l’onda di rimbalzo che potrebbe durare qualche mese (fino a marzo-maggio) avrebbe come obiettivi massimi quelli indicati in passato e precisamente area 1100 che rappresenta il 50% di ritracciamento e area 1180 (61,8%). Ovviamente si tratta di livelli massimi, che possono sembrare ottimistici, ma data la volatilità estrema e considerato che è stato già fatto un +20% dai minimi, non sono da escludere. Certamente una area di vendita molto più realistica è costituita già da quota mille che rappresenta il 38% di rimbalzo, e che corrisponde esattamente a quanto fece il Nikkey dopo la prima caduta del 50% durata un anno nel 1990 e che ha una grande somiglianza con quella in corso (anche per i motivi fondamentali ben noti). All’epoca il nikkey fece appunto un rimbalzo analogo nell’onda correttiva e poi andò a fare nuovi minimi a 2 anni e mezzo dall’inizio del ribasso, il che equivarrebbe a nuovi minimi in area 580 per lo sp500 a metà 2010.
Passando al breve termine , mi attendo quindi una flessione che dovrà dimostrare se è capace di fermarsi sopra area 800, così costituendo l’onda 2 di un iniziale trend rialzista. Ricordo che l’onda ribassista iniziata ad agosto a 1313 ha visto il seguente sviluppo a 5 onde: 1134- 1265- 840-1008-741. Adesso – considerando terminata la discesa- il rally impulsivo iniziato da 741 potrebbe avere uno analogo sviluppo del tipo: 900-800-1040-940-1100. Se viceversa si torna a scendere sotto 789 sarà bene prepararsi a nuovi minimi.
Si conclude con Dow a 8829 +9% ( -33% da inizio anno) SP500 a 896 +10%(-39%) Nasdaq100 a 1185 +8%(-43%)Russell +14%(-38%) Trasporti +11%( -23%) utilities +4% (-28%) semiconduttori +9% ( -51%) Broker +27%( -63%) Banche +23%( -46%).
Il rapporto tra put e call scende a 0,88 e l’indice della volatilità VIX cade a 55.
Il Nikkey giapponese a 8510 +10,5%(-44% da inizio anno), il Dax a 4670 +13%(-42%) il cac francese a 3262, il footsie inglese a 4288 spmib a 19985 e mibtel a 15524 (-46% da inizio anno, lancette dell’orologio borsistico nostrano – in termini nominali- indietro di 11 anni: chi lo avesse comprato nel 1997 e se lo fosse tenuto sperando nel “lungo termine”, oggi si ritrova con lo stesso nominale e con un valore reale che è circa un quarto). Tra gli emergenti: Brasile +17%(-43%) Russia +13% (-71%) India +2%(-55%) Cina -5%(-65%).
PREVISIONI: settimana piena
Inizia dicembre e non manca la carne al fuoco: negli USA lunedì esce l’ ISM manifatturiero atteso scendere a un nuovo minimo con la quarta caduta consecutiva, ben sotto quota 50, chiaro segnale di contrazione; ed inoltre parlerà Bernanke. Mercoledì sarà la volta del medesimo indice per il settore dei servizi, anch’esso atteso fare un nuovo minimo, con ulteriore revisione al ribasso delle stime per il PIL nel quarto trimestre, mentre uscirà anche il Beige Book della Fed. Giovedì si risentiranno Bernanke e Kroszner, infine venerdì gran finale con i dati sul mercato del lavoro attesi scendere per l’undicesimo mese consecutivo, con un tasso di disoccupazione che potrebbe arrivare in area 7%, mai visto dall’agosto del 1993.
Poichè le attese sono già per dati negativi non è scontato immaginare che borsa e dollaro reagiscano in modo analogo.A parte i dati macro, infatti, occorrerà vedere come si comporta lo yen che entra in una fase tipica di debolezza stagionale, avvicinandosi la fine dell’anno. Spesso anche i gestori azionari chiudono una gran parte delle loro operazioni, per beneficiare dell’effetto fiscale. Considerando il crollo di questo anno, i compratori è improbabile che abbiano delle plusvalenze, a differenza dei venditori che potrebbero quindi avere un maggior incentivo a chiudere e quindi a comprare. Data la correlazione inversa con lo yen, la valuta nipponica potrebbe quindi scendere nel mese di dicembre se la borsa continua a salire. E’ un film già visto l’anno scorso quando la borsa dopo una perdita del 10% a novembre, recuperò oltre la metà salendo per tutto dicembre (fino al 27 per la precisione) prima di dare il via alla grande caduta di gennaio.
La settimana che viene è intensa anche sul fronte europeo dove dominerà la decisione della BCE: un ribasso più contenuto rispetto alle attese (o addirittura un non taglio dei tassi) potrebbe dare una bella spinta all’ EURUSD in grado di proiettarlo oltre il recente range, nella convinzione che gli assets europei verranno fuori dalla attuale crisi globale con rendimenti più alti in grado di attrarre capitali rispetto agli USA.Ma è anche possibile che il mercato giudichi tale mossa sbagliata, “dietro la curva” e quindi penalizzino la valuta europea. Viceversa un taglio dei tassi più ampio , come successo con la sterlina, potrebbe affossare l’euro portandolo a nuovi minimi, ma potrebbe anche venire premiato se la si considera una mossa “avanti la curva”. Più in generale, ci sono altre considerazioni che giocano, relative alla salute dell’economia europea e dei mercati finanziari. Durante i periodi di espansione globale gli investitori tendono a dirigere i loro capitali verso quelle aree a crescita maggiore; ed in un ampia recessione, si preferiscono le economie che si contraggono meno e che si ritiene possano ripartire per prime. La seconda stima del pil europeo (giovedì)servirà in tal senso a determinare se aspettarsi o meno un aggravamento della recessione. Nel giudizio dei mercati le autorità europee sono considerate in ritardo rispetto a quelle americane, ed ancora non si è in grado di giudicare l’efficacia degli stimoli annunciati la scorsa settimana; per cui è probabile che l’ europa dovrà annunciare importi più consistenti per convincere gli investitori.